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La fotografia dell’intelligenza

Davvero si potrà fotografare l’intelligenza come si fotografa un fiore, un albero, un volto? Probabilmente sì, con quella che i medici chiamano risonanza magnetica funzionale per esempio, che può essere in tre dimensioni capace di creare una mappa, un po’ come fosse una carta geografica del nostro cervello. E la risonanza magnetica funzionale non si limita a fotografare, riesce persino a identificare le attività delle diverse aree della corteccia cerebrale con tutte le loro eterogeneità; e la misura dello stato di disordine del cervello (come di qualunque altro sistema fisico incluso l’universo) i fisici la chiamano entropia.

L’entropia nel nostro caso dipende dal flusso nei vasi sanguigni dell’encefalo ma anche dal metabolismo e dal consumo di ossigeno. A parte i traumi, aree di alta e bassa entropia configurano condizioni di danno, una emorragia per esempio, o un infarto, o un tumore. Negli ultimi anni però si vorrebbero usare queste tecniche per scoprire le emozioni, e perfino la natura di certi comportamenti.

Cosa succede nel cervello di chi assiste a un concerto o di chi si abbandona al piacere della buona cucina o vive la gioia di una serata d’amore? Succede che in certe aree del cervello arriva più sangue, si libera dopamina — sostanza che garantisce le comunicazioni tra cellula e cellula — ma anche encefaline, endorfine e altri ormoni.

La ricerca

Ma allora perché non utilizzare la risonanza magnetica funzionale per studiare l’intelligenza? Sì, avete letto bene, l’intelligenza. Un lavoro appena pubblicato su Plos One dimostra che con la risonanza magnetica funzionale è possibile correlare aree di maggiore entropia con i due test di intelligenza maggiormente usati, il «Shipley Vocabulary» che ha a che fare soprattutto con la loquacità e il «Wasi Matrix Reasoning» che misura la capacità di risolvere problemi.

Lo hanno fatto in 892 americani e si sono accorti che il rapporto fra entropia e intelligenza è soprattutto a carico della corteccia prefrontale, dei lobi temporali inferiori e del cervelletto. Dove c’è entropia il cervello è più attivo, dinamico, versatile e capace di processare un grande numero di informazioni, nulla di tutto questo succede dove c’è bassa entropia.

Un cervello intelligente deve saper connettere tantissime informazioni e saperlo fare velocemente, anche perché nel cervello, di neuroni, ce ne sono 100 miliardi (proprio quante sono le stelle della Via Lattea).

Questi neuroni non si attivano tutti contemporaneamente — sarebbe un disastro se no — ma quali e quanti se ne attivano quando leggiamo, cerchiamo di ricordare, riconoscere una voce, risolvere un problema nuovo? E quali e quanti neuroni si connettono tra loro in queste circostanze e in altre del genere? Non lo sappiamo ancora, e in questo il lavoro di Plos One non ci aiuta, ma apre una strada nuova ammesso che sia davvero possibile un giorno legare i segnali che arrivano dalle neuroimmagini di risonanza magnetica al grado di intelligenza degli uomini.

Saranno necessari molti altri studi, per ora siamo davvero agli inizi, perché la correlazione tra entropia del cervello e quoziente di intelligenza per quanto emerge dai dati di Plos One è piuttosto debole.

E poi cosa è l’intelligenza? E di quale intelligenza parliamo? Quella logico-matematica o cinematografica-musicale o pragmatico-meccanica? E ce ne sono altre, fino a 120. Insomma sono problemi molto complessi, le neuroimmagini aiutano ma c’è altro, e bisognerà integrare i dati di risonanza magnetica funzionale con i molti geni associati all’intelligenza e con l’influenza dell’ambiente.

Le prospettive

Il lavoro di Plos One, con tutti i suoi limiti, apre comunque prospettive di grande interesse. Immaginiamo che in futuro i segnali della risonanza magnetica funzionale possano essere usati per diagnosticare la depressione, i disordini da stress post-traumatico e anche l’autismo o la schizofrenia, sarebbe un grosso passo avanti, soprattutto il giorno che avremo farmaci efficaci.

Per quello che si sa adesso, il grado di entropia secondo i ricercatori di New York correla (forse) con i test di intelligenza, soprattutto per quanto riguarda l’attività della regione frontale del cervello dove ci sono aree che ci rendono capaci di pianificare le nostre attività e controllare le emozioni.

Per adesso l’intelligenza riusciamo a fotografarla, chissà che domani con interventi di ingegneria genetica (gene editing per esempio ma dovremo trovare i geni) non sia persino possibile aumentarla. Se ne fossimo capaci, e se fosse sicuro, sarebbe giusto farlo? Non lo so, sono cose che esulano dalla competenza della scienza, è materia per filosofi e si dovrà coinvolgere la società civile e chi legifera.

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Articolo del 21/03/2018

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Autore dell’articolo

Dott. Andrea Vannini

Neuropsichiatra. Ha prestato la propria opera professionale per molti anni presso Casa di Cura privata convenzionata operante nel settore neuropsichiatrico, acquisendo particolare competenza nell'Unità di Cura del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Già medico nei Servizi di Salute Mentale dell'Azienda Sanitaria di Firenze. Attualmente impegnato anche nell'area dei Disturbi della Spettro Autistico. Opera come consulente neuropsichiatra presso l'istituto IPSICO di Firenze.

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