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Piante e uomini: l’intelligenza vegetale

Cosa sta accadendo nello studio delle attività mentali: le neuroscienze dialogano tra loro sempre più, riducendo i margini di distanza tra psicologia, psichiatria e neurologia; le discipline orientali sono entrate a pieno titolo nei percorsi terapeutici; le attività mentali sono influenzate dal tipo di flora batterica intestinale a sua volta è regolata dal tipo di alimentazione: il microbiota, un insieme di colonie batteriche grazie alle quali rimaniamo in vita e in buona salute.

Concetti quali “reti interconnesse” e “dimensionalità” sostituiscono sempre più quelli di “entità discrete” e “categorie”. Gli organismi viventi si mostrano in continua e reciproca interazione e dialogo, a costituire il pianeta terra come un unico organismo vivente.

Mi viene in mente un convegno, al quale ho partecipato alcuni anni fa, in cui una relatrice, nordamericana e studiosa di terapia familiare, accennava agli studi fatti sulle piante e al loro modo di comunicare.

L’ipotesi fatta era quella di partire da modelli di interazione in botanica per comprendere meglio anche i rapporti tra esseri umani e francamente mi sembrava inizialmente un’idea un po’ strampalata. Dare del vegetale a un essere umano non è mai stato un complimento. Eppure ripensandoci oggi, alla luce dei numerosi studi, l’idea mi appare affascinante e in linea con quella visione del pianeta Terra come un unico organismo vivente.

Correva l’anno 1880 quando Charles Darwin ipotizzò una specie di “cervello” nelle piante, collocandolo negli apici radicali, capace di percepire numerosi segnali dall’ambiente circostante e in base a questi mettere in atto delle strategie da seguire. Ciascun apice è allo stesso tempo autonomo ed in grado di avere relazione con altri.

Questa idea, bizzarra a prima vista, ha seguito il percorso di intuizioni simili: tanti anni nel cassetto e poi accade che qualcuno non la consideri carta straccia. Ha carpito l’attenzione di alcuni ricercatori nel secolo scorso e attualmente di un gruppo di studiosi di Firenze, tra cui Stefano Mancuso in prima linea, e di Bonn.

Oggi più che un’ipotesi è un dato concreto il fatto che le piante siano capaci non solo di recepire segnali ambientali ma anche di trasmetterli rapidamente.

Nell’elaborare i dati ambientali manifestano una capacità di apprendimento che si proietta sulla capacità di ricercare uno scopo, di valutare errori e soprattutto la capacità a mantenere tracce mnesiche nel tempo.

Sono in grado di produrre sostanze neurobiologicamente attive, simili o identiche ai nostri neurotrasmettitori, sintetizzano numerosi recettori –  per il glutammato, l’acido gamma amino butirrico (GABA), la glicina, l’acetilcolina e le sinaptogamine – ;  riescono  anche a far nascere potenziali d’azione mediante i quali comunicano a livello locale.

Sono in grado addirittura di creare giunture sinaptiche attraverso le quali trasferire tra cellule informazioni di tipo chimico o elettrico. In ciascun apice vi è quella che viene definita “zona di transizione” costituita da cellule con caratteristiche neuronali in quanto presentano una modalità di trasmissione identica a quella presente nei sistemi nervosi del mondo animale. Gli impulsi, una volta generati, si trovano a  propagarsi attraverso le molecole neurotrasmettitoriali, le stesse trovate nel mondo animale.

L’umana esperienza sapeva da tempo che le piante producono sostanze che possono andare ad incidere sulle funzioni psichiche dell’uomo – caffeina, teina, oppioidi, cannabinoidi e molte altre – ma oggi  la scoperta  di sostanze neurotrasmettitoriali  fa pensare a una sorta di attività neurale delle piante.

Baluska, uno studioso del settore, ritiene che l’Auxina, l’ormone vegetale più importante conosciuto finora, che permette alla pianta di accrescersi e di emettere nuove radici, possa essere considerato un neurotrasmettitore specifico del mondo vegetale, non dissimile dalla melatonina o serotonina animale. L’insieme di tutto ciò determinerebbe  una forma di “intelligenza” vegetale che la pianta mette in atto ad esempio nelle situazioni di difficoltà.

Sembra che le piante, proprio come gli animali, agiscano mediante tentativi ed errori: in situazioni per loro problematiche mettono in atto una serie di tentativi finché non trovano la soluzione ottimale.

La cosa meravigliosa è che di tutto ciò resta una traccia mnesica quando si ritroveranno ad affrontare le stesso problema. Manca l’acqua, e loro? Evitano la traspirazione aumentando lo spessore dello strato superficiale, chiudono tutte le aperture e le porosità, riducono il numero di foglie e sguinzagliano le radici a ispezionare le zone limitrofe. Utilizzano le autostrade del vento o i sentieri del terreno per trasferirsi informazioni sullo stato di salute o sui parassiti che circolano nei dintorni.

Se attaccate da un agente patogeno immediatamente attivano un tam tam diretto ai consimili della stessa specie, messaggeri dell’allarme sono sostanze volatili, che avvisano del pericolo imminente e sollecitano a sviluppare difese immunitarie. Ha del meraviglioso il livello di “socializzazione” delle piante.

Nella territorialità  si mostrano simili al mondo animale: avvisano il territorio circostante della loro presenza tramite sostanze disciolte nel terreno; le radici intercettano le comunicazioni frenetiche che circolano sotterranee e capiscono se vicino hanno amici o nemici: nella seconda ipotesi attivano processi aggressivi che portano a lanciare sostanze velenose; e che vinca il migliore.

La volta successiva in cui si presenterà una situazione analoga la pianta che ha superato l’ostacolo sarà in grado di mettere in atto strategie maggiormente efficienti, con meno tentativi e meno errori. Sapranno subito cosa è bene fare.

Indubbiamente affascinante questa mole di dati e come questo andrà a influenzare le neuroscienze lo vedremo. Intanto, mentre Dieter Volkmann e colleghi pensano a come i neuroni delle piante possano costituire modelli sperimentali per individuare cure contro malattie degenerative e gli studiosi di psicologia relazionale si arrovellano a mettere in piedi un modello che concili il mondo faunistico e floreale, è bene che io mi ricordi di innaffiare meno i miei gerani e a mettere dentro il beniamino. Le temperature iniziano a scendere.

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Autore dell’articolo

Dott. Michele Conte

Medico Chirurgo, specialista in Psichiatria, psicoterapeuta. Da circa 20 anni psichiatra nel Servizio Sanitario Nazionale; responsable del Centro Diurno del Distretto 8, USL Centro Firenze. Docente di Psicopatologia, Psichiatria e Psicofarmacologia presso la scuola di specializzazione quadriennale istituto IPSICO. Autore di circa 50 pubblicazioni, su riviste nazionali e internazionali, riguardanti aree psicopatologiche, psicofarmacologiche ed epidemiologiche. Profilo linkedin

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