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Binge Eating Disorder

Disturbo alimentazione incontrollata

Il disturbo da Binge Eating o  disturbo da alimentazione incontrollata, è stato riconosciuto solo nel 2013 come categoria diagnostica distinta dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5).

Il disturbo da Binge Eating  ha una prevalenza lifetime del 3%, ma nonostante la grande quantità di articoli scientifici pubblicati negli ultimi anni, nel nostro Paese, la sua conoscenza è ancora limitata sia tra le persone che ne sono colpite, che tra i medici e il personale sanitario (Dalle Grave, 2014).

Per diagnosticare un Disturbo da Binge Eating è necessaria la presenza di almeno 1 episodio bulimico oggettivo la settimana per 3 mesi.

Un  episodio bulimico oggettivo è caratterizzato dall’assunzione  in meno di due ore di una quantità di cibo più grande di quella che le persone mangerebbero in un simile periodo di tempo e dalla sensazione di perdere il controllo, cioè di non potersi fermare una volta che si è iniziato.

Gli episodi bulimici devono essere, inoltre,  associati con tre (o più) dei seguenti aspetti:

  • mangiare più rapidamente del normale,
  • mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieno
  • mangiare grandi quantità di cibo quando non ci si sente fisicamente affamati
  • mangiare da solo perché ci si sente imbarazzati dalla quantità di cibo che si sta mangiando
  • sentirsi disgustato di se stesso, depresso o in colpa dopo l’episodio bulimico

La differenzia essenziale con  la bulimia  nervosa è che nel disturbo da Binge Eating non vi sono  comportamenti di compenso (es. vomito, uso improprio di lassativi o diuretici, digiuno, esercizio fisico) dopo le abbuffate.

Questo può portare a sovrappeso o obesità, ma come è vero che non  tutte le persone che sono in sovrappeso soffrono di Disturbo da Binge Eating, è  altrettanto vero che il disturbo può presentarsi anche in persone normopeso.

Diversi autori (Avena, Rada, & Hoebel, 2008), a partire da alcuni studi che evidenziavano delle similitudini dei processi neurobiologici della ricompensa tra le persone che hanno episodi bulimici e quelle con disturbo da uso di sostanze, hanno ipotizzato che anche il disturbo da Binge eating  fosse  una forma di dipendenza.

In particolare, tali studi hanno rilevato una diminuzione dei recettori dopaminergici D2 e un incremento della dopamina sia negli individui che abusano di cocaina e alcol, sia in individui con obesità.

Secondo questa teoria quindi, le persone sane avrebbero un sistema della ricompensa normale che le proteggerebbe dal consumo incontrollato ed eccessivo di sostanze o di cibo. Laddove tale sistema presenti un deficit nel controllo inibitorio, si verificherebbe al contrario,  l’abuso di sostanze e cibo.

Attualmente tale ipotesi è stata criticata per diversi motivi, primo tra tutti, le persone con disturbo da Binge-eating tentano di evitare l’episodio bulimico, mentre chi ha una dipendenza da sostanze non ha la stessa motivazione ad evitarne l’uso.

Inoltre se l’episodio bulimico oggettivo fosse una vera forma di dipendenza, dovrebbe essere caratterizzato dal consumo e desiderio di specifici alimenti, al contrario ciò che lo contraddistingue è la quantità di cibo ingerito, non cosa viene mangiato (Wilson, 2010).

Gli episodi bulimici che caratterizzano il disturbo da Binge Eating, più che una conseguenza di una dipendenza dal cibo, sembrano essere  modalità che alcune persone utilizzano  per gestire emozioni negative o alti livelli di stress. Il cibo diventa una strategia per fronteggiare  eventi negativi o preoccupazioni, assume la funzione di modulare  stati emotivi intensi o intollerabili oppure diviene unica fonte di gratificazione.

Tuttavia, se immediatamente dopo un episodio bulimico,  si ha un’iniziale attenuazione del disagio, poco dopo in genere , compaiono  sensi di colpa, ansia e  umore depresso che possono a loro volta  innescare un nuovo episodio bulico (Dalle Grave,2014).

Quindi, oltre ad essere una strategia di coping disfunzionale,  l’abbuffata è l’espressione di un problema alimentare che può minare ulteriormente l’autostima della persona e far sviluppare un sistema di autovalutazione basato esclusivamente sulla sua (in)capacità di controllo del peso e della forma del corpo.

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Articolo del 21/09/2016 Contrassegnato con: disturbi alimentari

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Elena Lazzeri

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Ha conseguito il master in terapia e prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità ed è socio ordinario dell’Associazione Italiana Disturbi dell’alimentazione e del peso (AIDAP). Opera come psicoterapeuta presso l’Istituto Ipsico e presso i suoi studi professionali di Poggibonsi e Colle di Val d’Elsa, occupandosi principalmente di disturbi dell’alimentazione e disturbi del sonno. Profilo linkedin

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