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Quando un genitore si ammala: la comunicazione con i figli

genitore malato

La comunicazione di diagnosi di una patologia grave e invalidante si configura come evento stressante, e potenzialmente traumatico, per l’individuo che ne è affetto, ma non unicamente.

Tale evento, infatti, impatta in maniera rilevante sul funzionamento dell’intera famiglia della persona, minandone la struttura, modificandone i ruoli, l’assetto e le dinamiche relazionali. Questo ha possibili conseguenze psicologiche e psicopatologiche per tutti i membri. Quando il malato è anche genitore le cose si complicano ulteriormente.

Alcuni genitori, se si ammalano, scelgono di non parlare ai figli della propria malattia. Le motivazioni alla base di tale decisione possono essere molteplici e includono:

  • il tentativo di proteggerli da emozioni dolorose
  • la difficoltà all’idea di poter ricevere domande difficili su malattia e morte
  • la difficoltà a contattare il senso di colpa che deriva dall’idea di parlare loro di certi argomenti o di non essere genitori abbastanza adeguati in quanto malati
  • la paura di mostrarsi vulnerabili e spaventarli
  • la credenza che i figli non potrebbero capire
  • il tentativo di mantenere un clima ‘tranquillo’ per non turbarli

Tuttavia, la scelta di non comunicare implica sempre l’assumersi uno sforzo personale enorme al fine di mantenere tale ‘segreto’.

Una adeguata comunicazione ai figli

Al contrario, una comunicazione adeguata in tal senso consente importanti vantaggi. Tra questi vi è la riduzione dei livelli di ansia sperimentati e il miglioramento della comunicazione nella famiglia.

Inoltre, permette di ridurre il senso di isolamento, solitudine ed esclusione sperimentati dai figli quando percepiscono che qualcosa di importante (e probabilmente grave) si è verificato, ma che di questo i genitori non vogliono farli partecipi. In questi casi si osserva spesso che i figli non si sentono in diritto di fare domande. Possono provare sfiducia verso i genitori (o verso il mondo degli adulti in generale) o assumere atteggiamenti e comportamenti di ‘iperresponsabilizzazione’, fino ad una vera e propria inversione dei ruoli per la quale arrivano a prendersi cura loro del genitore.

Una adeguata comunicazione consente anche di proteggere i figli dal senso di colpa che deriva dalla frequente tendenza ad assumersi la responsabilità degli eventi negativi che accadono in famiglia.

I rischi della mancata comunicazione

Inoltre, non parlare con loro non significa impedire che percepiscano che qualcosa di importante è cambiato. A tal proposito, generalmente bambini e ragazzi tendono a costruirsi delle teorie personali su cosa può essere accaduto, al fine di dare un senso ai cambiamenti percepiti.

Tali teorie possono includere spiegazioni e ‘fantasie’ ancor più spaventose della realtà stessa. Per questo, una adeguata comunicazione consente di ridurre la paura sperimentata, che può raggiungere livelli molto intensi.

Non comunicare inoltre, può far pensare ai figli di non essere importanti e far contattare loro profondi sentimenti di solitudine che derivano dalla sensazione di non avere nessuno con cui poter parlare delle loro emozioni. Tutto questo può avere ripercussioni importanti sul loro comportamento, sulle relazioni che hanno con gli altri e sul rendimento scolastico.

Le modalità di comunicazione

Comunicare ai figli la propria diagnosi è un processo sicuramente complesso, delicato, e può far provare molta paura. Generalmente, inoltre, la decisione di parlare con loro apre ad ulteriori e difficili interrogativi. Ad esempio: cosa e quanto dire? Come dirlo? Quando?

Non esiste, ovviamente, una modalità che possa andare bene per tutti. Vi sono tuttavia delle indicazioni generali che possono essere utili per affrontare questo difficile processo. Innanzitutto, è assolutamente legittimo ed importante che i genitori abbiano la possibilità di prendersi del tempo per poter pensare a quello che sta accadendo loro e per prepararsi alla comunicazione di questo ai propri figli.

Può essere tuttavia utile non aspettare troppo tempo. Sia al fine di scongiurare la possibilità che i figli acquisiscano autonomamente, o ricevano accidentalmente da altre fonti, delle informazioni in merito. Sia perché è normale che i figli percepiscano dagli adulti la tensione e le emozioni che inevitabilmente derivano dall’aver affrontato certi iter diagnostici e aver ricevuto la diagnosi di una patologia grave.

Cosa dire ai figli

Cosa dire? È importante condividere una spiegazione che consenta ai figli di attribuire un significato a quello che sta accadendo e agli inevitabili cambiamenti, anche di routine, che sperimenteranno.

In genere i bambini e i ragazzi desiderano ricevere informazioni relative alla malattia e alle cure: ad esempio, il nome della malattia, le presunte cause, chi la cura e come si cura, gli effetti delle terapie e la sua presunta evoluzione.

Può essere utile anche esplicitare loro che non devono prendersi cura dei genitori ma che i genitori, in quanto adulti, dispongono delle risorse per affrontare questa situazione e non è compito loro occuparsene.

I dettagli delle informazioni da condividere è bene che siano ‘tarate’ sulla base di quanto i figli vogliono sapere e chiedono in merito. Così, diventa importante prestare attenzione ai segnali comunicativi verbali e non verbali, al fine di adattare la comunicazione alle loro reazioni.

Può essere utile tenere a mente che non è necessario condividere tutto: tantomeno tutto e subito. Ma è importante che quello che viene condiviso sia reale, pur infondendo speranza.

Può essere utile anche indagare cosa conoscono di questa malattia, al fine di correggere eventuali informazioni non corrette. Inoltre, è del tutto normale che i figli possano fare domande cui i genitori non sanno rispondere. Anche in questo caso essere sinceri, e quindi rispondere, ad esempio, semplicemente “non so” è del tutto legittimo.

Eventualmente si può valutare come poter reperire insieme l’informazione richiesta o incoraggiarli a parlare con medici o infermieri. Inoltre, può essere importante confrontarsi con gli altri adulti con cui i propri figli interagiscono, al fine di condividere con loro le informazioni che i vostri figli hanno, cosicché bambini e ragazzi possano ricevere le medesime spiegazioni da tutti gli adulti di riferimento.

Come dirlo

I migliori esperti delle modalità con cui parlare ai propri figli sono i genitori stessi. La scelta delle parole da usare e degli eventuali ausili di sostegno (storie, racconti, video, libretti informativi…) deriva dall’età, dal grado di maturità e dalle loro caratteristiche personali.

Quando si hanno più figli generalmente è utile parlare loro insieme, per poi eventualmente valutare di approfondire individualmente in un secondo momento.

Comunque, se si sceglie di parlare loro separatamente, è utile non far trascorrere troppo tempo per evitare che condividano le informazioni tra di loro, senza averle prima ricevute dai genitori.

È importante scegliere un luogo e un momento tranquilli in cui i bambini e i ragazzi possano non avere distrazioni, mantenere l’attenzione e sentirsi liberi di porre domande ed esprimere le proprie emozioni.

Infatti, una buona comunicazione non può prescindere dalla possibilità che essi abbiano lo spazio per poter esprimere liberamente quello che sentono e pensano, e quindi le loro emozioni e pensieri in relazione a quello che è stato comunicato.

Anche per questa ragione, una comunicazione adeguata è da considerarsi un processo che non può esaurirsi in un unico momento: in tal senso è importante nel tempo mostrare apertura e interesse all’espressione di nuovi dubbi, paure, preoccupazioni o emozioni dolorose.

Altresì, è importante che bambini e ragazzi comprendano che le emozioni che provano (e che vedono esprimere dai genitori), per quanto pesanti o dolorose, sono del tutto normali, hanno un senso alla luce di quello che sta accadendo, non sono pericolose e passeranno. E che per tutte queste ragioni è del tutto normale sperimentarle ed esprimerle: che si possono accettare, piuttosto che esserne spaventati o sentirsi sbagliati perché si provano.

Ovviamente questo processo non è affatto facile. Il carico di una malattia grave è già di per sé pesante e conduce a sperimentare emozioni dolorose e intense che, in alcune situazioni, possono ostacolare la possibilità di prendersi cura anche del dolore e dei bisogni dei propri figli.

In tal senso, diventa cruciale la possibilità di chiedere aiuto e sostegno al proprio partner, a familiari, amici, altre figure significative o a un professionista, al fine di farsi sostenere in tale difficile processo.

Bibliografia

Hailey, C. E., Yoop, J. M., Deal, A. M., Mayer, D. K., Hanson, L. C.,  Grunfeld, G., Rosenstein, D. L., & Park, E., M. (2018). Communication with children about a parent’s advanced cancer and measures of parental anxiety and depression: a cross-sectional mixed-methods study. Support Care Cancer, 26, 287-295.

Moore, C., Shea, S., Russell, K., Convery, M. S., & Rauch, P. K. (2018). Communicating with children about parental cancer: The devil in the details. Journal of Clinical Oncology, 36.

Rauch, P. K., Muriel, A. C., & Cassem, N. H. (2002). Parents with Cancer: Who’s looking after the children?. Journal of Clinical Oncology, 21, 4399-4402.

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Irene Castellani

Psicologa psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Si è occupata di psicologia della salute collaborando con l’Associazione Noi per Voi di Firenze per progetti inerenti il sostegno psicologico di pazienti pediatrici affetti da patologie oncoematologiche e delle loro famiglie. Opera come psicoterapeuta presso l’Istituto IPSICO di Firenze. Si occupa primariamente di disturbi d’ansia, depressione, disturbi di personalità, difficoltà relazionali, sostegno psicologico nella malattia organica, elaborazione del lutto. Profilo linkedin

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