Il senso di colpa è una delle emozioni complesse perché, secondo Izard (1979), si delinea evolutivamente più tardivamente rispetto alle emozioni di base ed ha il ruolo di inibire atti considerati immorali.
Il senso di colpa fa altresì parte delle emozioni definite “morali” perché tende a promuovere un comportamento etico presentandosi con una valenza negativa in risposta a situazioni in cui il soggetto mette in atto una trasgressione ad una norma.
In particolare il sentimento di colpa deriva dal giudizio negativo di uno specifico atto (mancato o compiuto) rivolto ad un’altra persona, generando nel soggetto emozioni di rimorso e rimpianto in riferimento al comportamento precedente, con un conseguente stato di tensione.
In psicologia inizialmente il senso di colpa fu studiato da Freud (1915) in ‘Lutto e malinconia’, in cui l’autore poneva il focus dell’analisi in una dimensione intrapsichica. A partire dalla metà del secolo, acquisisce una maggiore importanza il livello sociale: il senso di colpa così viene correlato al contesto in cui la persona si trova inserita. In ogni cultura c’è un certo consenso circa le azioni che rendono gli individui colpevoli, creando una norma condivisa ed il relativo pensiero di ciò che sarebbe giusto fare.
Sentire una colpa implica che il soggetto, infrangendo tale norma etica, si sia accorto di avere avuto la possibilità di agire in un altro modo o di agire in modo più corretto, altruistico, o socialmente più accettabile.
La disponibilità individuale a provare senso di colpa, senza che esso non si trasformi in giudizio o condanna, può rivelarsi estremamente utile ed adattiva, perché può aprire spazi di riflessione sul proprio comportamento e può produrre l’attivazione di gesti riparativi. Al di là della valenza adattiva del senso di colpa, esso può assumere più spesso manifestazioni ruminative di auto-rimprovero, rimorso o rammarico, fino addirittura a dolorose forme di auto-punizione.
Nella psicopatologia generale, sentimenti di colpa caratterizzano diversi disturbi, sia nella direzione di una maggiore tendenza all’auto-rammarico (il caso più classico è quello della depressione), sia – sul versante opposto – come mancanza di rimorso o colpa (come, ad esempio, nel disturbo di Personalità Antisociale). Solo all’interno della fenomenologia del Disturbo Ossessivo Compulsivo il ruolo della colpa risulta essere così centrale da essere stato indagato nella forma di diversi costrutti: propensione alla colpa (guilt propensity), sensibilità alla colpa (guilt sensitivity) e timore di colpa (fear of guilt).
Per “propensione alla colpa” si intende la tendenza individuale ad essere soggetti a sentimenti di colpa mentre con il termine “sensibilità alla colpa” ci si riferisce alla scarsa tolleranza nei confronti dell’emozione di colpa, sovrastimando le conseguenze negative di tale sentimento.
Entrambe queste variabili, classicamente considerate come disposizioni individuale su base personologica, hanno mostrato una correlazione con i sintomi ossessivo-compulsivi (Steketee e collaboratori, 1991; D’Olimpio e collaboratori, 2013; Perdighe e collaboratori, 2015; Melli e collaboratori, 2016).
Il timore di colpa risulta essere un costrutto centrale nella fenomenologia del disturbo ossessivo-compulsivo. Studi sulla manipolazione sperimentale del timore di colpa sia in soggetti clinici (es., Shafran, 1997) che non clinici (es., Mancini e collaboratori, 2004) hanno mostrato come essa produca un incremento di dubbi ossessivi e comportamenti di controllo. All’interno degli studi sul costrutto della fear of guilt nel DOC, alcuni autori (Mancini e Gangemi, 2006) hanno proposto un’ulteriore differenziazione tra due sottotipi di colpa. In generale, infatti, il sentimento di colpa può essere indotto per la violazione di un principio altruistico (colpa altruistica) oppure per la violazione di una norma etica (colpa deontologica).
Un esempio di senso di colpa altruistica risiede nella colpa del sopravvissuto: pensiamo al sentimento che può provare una ragazza nel comunicare la lieta notizia della sua gravidanza alla cara amica che non può avere figli.
Si parla invece di senso di colpa deontologico quando c’è la violazione di una regola morale anche senza danni a terzi; in questo caso, un esempio potrebbe essere costituito dal senso di colpa di un individuo dopo aver messo in atto comportamenti sessuali valutati come “sbagliati” in base – ad esempio – a principi religiosi (es. masturbazione).
Nonostante in molti casi le due precedenti condizioni coesistano (si pensi alla classica colpa da “tradimento”), ci sono numerose prove empiriche della separazione dei due sensi di colpa sopra descritti, anche su base neuro anatomica e funzionale (Basile e collaboratori, 2011).
In particolare, la il senso di colpa deontologico sembra attivare l’insula e la corteccia cingolata anteriore, aree connesse anche ad emozioni di disgusto ed auto-rimprovero; d’altro canto, la senso di colpa altruistico si associa ad un’attivazione delle aree prefrontali coinvolte anche nell’empatia e la comprensione della mente altrui.
L’ipotesi proposta e confermata da alcuni importanti studi italiani è quella che sia la colpa deontologica e non altruistica quella a indurre il paziente ossessivo a sperimentare dubbi inaccettabili e mettere in atto comportamenti compulsivi. Una ricerca sperimentale (D’Olimpio e Mancini, 2014) ha in effetti dimostrato che l’induzione della colpa deontologica, ma non di quella altruistica, possa attivare dubbi intrusivi e comportamenti compulsivi di controllo o di lavaggio. Inoltre, pazienti con DOC e soggetti sub-clinici con alta propensione alle ossessioni, tendono a rispondere in modo tendenzialmente omissivo – rispetto a partecipanti non clinici – al “dilemma del trolley” (D’Olimpio e Mancini, 2015; Mancini e Gangemi, 2015).
Nella sua forma originaria il “dilemma del trolley” (Foot, 1967) si basa sull’immaginare lo scenario di un carrello ferroviario che sta correndo senza controllo su un binario verso l’investimento di cinque persone. I soggetti sottoposti alla prova devono decidere se tirerebbero o meno una leva capace di deviare il carrello su un altro binario investendo un’unica persona.
L’opzione altruistica consiste nel muovere uno scambio e causare la morte di una persona anziché di cinque, mentre la il senso di colpa deontologico rende insolubile il dilemma se non decidendo di non agire e non modificare il corso degli eventi. In linea con questi risultati, altri studi sperimentali simili hanno evidenziato come la tendenza all’omissione nei dilemmi di tipo morale correli positivamente con punteggi più elevati di ossessività, ma non di ansia.
Inoltre l’induzione del senso di colpa deontologico, ma non di quello altruistico o della vergogna, porta i soggetti a rispondere in modo non interventista in scenari di dilemma morale (D’Olimpio e Mancini, 2016). Questi, e molti altri studi più recenti sulla relazione tra colpa deontologica e disgusto nel DOC, stanno aprendo spunti di analisi importanti e possibili ipotesi di sviluppo e applicazione anche nel trattamento psicoterapico.
In conclusione, il senso di colpa, come tutte le altre emozioni, può avere un’importante funzione evolutiva e sociale. Nelle sue forme meno adattive o croniche il sentimento di colpa alberga spesso nelle stanze della psicoterapia e in particolare, quando il paziente è affetto da Disturbo Ossessivo–Compulsivo (o incline ad esso), lo stato emotivo di colpa diventa l’oggetto temuto. Così come nel paziente panicoso l’oggetto della preoccupazione è la paura stessa, il soggetto ossessivo teme la colpa.
Le suddette ricerche (e molte altre) hanno inoltre dimostrato che esiste un particolare tipo di senso di colpa più temuto nel DOC: è la colpa deontologica, associata alla violazione di una norma morale, che nel meccanismo ossessivo-compulsivo deve essere evitata ad ogni costo perché percepita non come dolorosa ma al contempo riparabile, ma bensì come catastrofica, imperdonabile e insopportabile.