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Adulti plusdotati: quando l’intelligenza è un dono… complicato

plusdotazione cognitiva negli adulti

Spesso immaginiamo le persone ad alto potenziale cognitivo come individui fortunati, destinati al successo grazie alla loro mente brillante.

Ma cosa succede quando essere “troppo intelligenti” significa sentirsi inadeguati, soli, e incapaci di trovare un posto nel mondo?

La plusdotazione negli adulti resta al momento un tema ancora poco conosciuto. Vediamo lo stato dell’arte.

Plusdotazione come diagnosi

La diagnosi di plusdotazione (o pluridotazione, anche detta alto potenziale intellettivo – API o alto potenziale cognitivo – APC) si basa su una combinazione di criteri scientifici e clinici.

Se ci basiamo esclusivamente sulla letteratura scientifica, la diagnosi di plusdotazione (giftedness in inglese) viene trattata in modo più rigoroso e standardizzato.

Il criterio diagnostico principale rimane il QI: rientrano nella plusdotazione gli esseri umani che hanno un QI uguale o maggiore a 130 (2 deviazioni standard sopra la media, cioè nel top 2% della popolazione).

Il QI si valuta mediante test cognitivi standardizzati, come la WISC-V (per bambini e adolescenti), la WAIS-IV (per adulti) o le matrici di Raven (test non verbale). Generalmente non si guarda solo al QI totale, ma anche al profilo cognitivo nei vari indici (verbale, visuo-percettivo, memoria di lavoro, velocità di elaborazione, ecc.).

Molti studiosi sottolineano però che Il QI da solo è insufficiente per una diagnosi completa ma devono essere considerati anche comportamenti osservabili, prestazioni scolastiche e aspetti motivazionali/emotivi.

Un’intelligenza disarmonica

L’intelligenza dei plusdotati è spesso definita “disarmonica” perché molto sviluppata in alcune aree, ma meno in altre.

Ad esempio, un bambino può parlare come un adulto, fare ragionamenti complessi su temi filosofici o scientifici, ma non saper gestire la frustrazione se perde a un gioco da tavolo. Oppure può leggere libri per ragazzi molto più grandi della sua età, ma avere una scrittura lenta e disordinata, o difficoltà a stare seduto e concentrato per tutta la lezione.

Questa disarmonia può manifestarsi anche a livello emotivo: molti plusdotati sentono tutto “troppo”, si commuovono facilmente, si arrabbiano in modo esplosivo o si bloccano davanti a un errore, anche piccolo.

Il loro cervello va veloce, ma il cuore e il corpo non sempre riescono a stare al passo. Per questo spesso vengono fraintesi: appaiono immaturi, oppositivi o “strani”, quando in realtà hanno solo bisogno di essere capiti nella loro complessità.

Diagnosi clinica: approccio multidimensionale

Nella prassi attuale, quindi, una diagnosi accurata di plusdotazione non si basa solo sul QI. È fondamentale un approccio clinico integrato che comprende:

  • Colloqui anamnestici con genitori e insegnanti (per bambini)
  • Osservazione clinica
  • Test cognitivi e proiettivi (quando opportuno)
  • Analisi del funzionamento emotivo e relazionale
  • Eventuale presenza di disturbi del neurosviluppo associati (es. DSA, ADHD, spettro autistico)

Diagnosi differenziale: comprendere oltre il visibile

La plusdotazione può facilmente essere confusa con altri profili del neurosviluppo, perché alcune caratteristiche si somigliano in superficie.

Un bambino plusdotato, ad esempio, può sembrare iperattivo o distratto, come un bambino con ADHD (Deficit di attenzione – iperattività), ma spesso si annoia perché ha già capito la lezione e cerca stimoli più complessi, non perché non riesce a concentrarsi.

Per esempio, un bambino plusdotato può non riuscire a concentrarsi in classe perché il ticchettio dell’orologio o il fruscio delle pagine lo distrae in continuazione, mentre gli altri sembrano non notarli affatto.

Questa ipersensibilità può essere confusa con l’ADHD, perché in entrambi i casi il soggetto sembra facilmente distraibile. Tuttavia, nell’ADHD la difficoltà di attenzione è più pervasiva e costante, legata a una disfunzione dei meccanismi attentivi e del controllo degli impulsi. Nel plusdotato, invece, la distrazione è spesso selettiva e dipende dal contesto: scompare quando l’ambiente è stimolante o coinvolgente, e aumenta in presenza di stimoli non significativi o eccessivi.

Anche nel caso dell’autismo ad alto funzionamento, ci possono essere somiglianze: rigidità nel pensiero, difficoltà a socializzare, ipersensibilità sensoriale. Ma mentre nel disturbo dello spettro autistico queste difficoltà sono pervasive e stabili, nel plusdotato sono spesso legate alla disarmonia tra mente e ambiente e migliorano in contesti più stimolanti e accoglienti.

Inoltre, un bambino molto intelligente ma non riconosciuto può sembrare oppositivo, sfidante, “che fa sempre polemica” e può essere scambiato per un disturbo oppositivo-provocatorio (DOP). In realtà, dietro questa opposizione c’è spesso una forte esigenza di giustizia, coerenza e senso, non una volontà di provocare.

Riconoscere la plusdotazione significa andare oltre le etichette e ascoltare davvero cosa c’è dietro un comportamento “strano” o “difficile”.

Chi può fare diagnosi di plusdotazione?

In generale in Italia la diagnosi clinica può essere fatta solo da psicologi iscritti all’albo, tramite test validati.

Il MIUR (Ministero Istruzione) non ha ancora un protocollo ufficiale, ma alcune linee guida regionali iniziano a riconoscere il profilo API.

Plusdotazione: storia di sviluppo e segni premonitori

La plusdotazione, in ogni modo, non si “attiva” all’improvviso. È un modo di essere che accompagna l’individuo per tutta la vita e che, se non riconosciuto, può lasciare cicatrici profonde.

Partiamo dall’infanzia.

Infanzia: il primo senso di essere “diversi”

I bambini plusdotati non sono semplicemente più “bravi” a scuola. Hanno un modo del tutto unico di percepire il mondo. Fanno domande insolite, hanno un linguaggio molto avanzato, un pensiero precoce, una curiosità divorante.

Ma allo stesso tempo, sviluppano precocemente una sensibilità emotiva che li rende vulnerabili. Possono soffrire per ingiustizie che gli altri bambini ignorano, sentirsi responsabili del benessere altrui, o spaventati da concetti esistenziali già in tenera età.

Molti vivono la scuola come una fonte di frustrazione. Si annoiano, si sentono incompresi, faticano a relazionarsi con i coetanei.

La solitudine e il senso di “non appartenenza” iniziano presto e spesso nessuno se ne accorge. Anzi, a volte vengono visti come problematici, provocatori, ipersensibili.

Il loro funzionamento atipico non viene riconosciuto, e questo li porta a mettere in discussione se stessi, piuttosto che il contesto.

Adolescenza: il periodo più fragile

Durante l’adolescenza, tutto si amplifica. Il pensiero si fa ancora più complesso, critico, profondo. I plusdotati si interrogano su tutto: identità, valori, senso della vita.

Ma se non hanno sviluppato un senso di sé stabile, questa fase può diventare un vero terreno minato. La discrepanza tra il loro mondo interno e quello degli altri adolescenti si accentua. Cercano connessioni autentiche, ma raramente le trovano.

Possono diventare solitari, oppure conformarsi forzatamente, soffocando la loro autenticità. Alcuni iniziano a vivere l’ansia, la depressione, o mostrano comportamenti disfunzionali nel tentativo di adattarsi a un mondo che non sentono “a misura di sé”.

Spesso si convincono che il problema sono loro, che sono sbagliati, e che devono imparare a essere “normali”.

Età adulta: il peso di un’identità mai riconosciuta

Arrivati all’età adulta, molti plusdotati hanno una lunga storia di incomprensione alle spalle. Hanno tentato di adattarsi, hanno sviluppato maschere sociali, si sono iper-performati per sentirsi accettati. Ma dentro, spesso, resta un vuoto.

Sono adulti che pensano troppo, sentono troppo, e si sentono cronicamente “fuori sincrono” rispetto al mondo. Hanno carriere discontinue, relazioni complicate, una sensibilità che li espone a stress emotivo e a una continua ricerca di senso.

Eppure, spesso sono i primi a sminuirsi: non si sentono mai abbastanza, dubitano del proprio valore, si auto-sabotano.

In molti casi, la scoperta della propria plusdotazione avviene solo in età adulta, magari a seguito di una crisi, una terapia, o la diagnosi di un figlio. E allora, tutto cambia.

Come abbiamo visto, la difficoltà del non riconoscimento di questa condizione e la presenza di un funzionamento atipico così complesso, porta alla possibilità di vivere nell’età adulta in un modo terribilmente compromesso o quantomeno molto, molto faticoso.

Vediamo meglio cosa succede nell’età adulta.

Chi sono gli adulti plusdotati? Una realtà spesso invisibile

Contrariamente a quanto si pensi, le persone plusdotate non sono necessariamente dei “geni” socialmente riconosciuti.

Come abbiamo visto si tratta di un modo diverso e più intenso di funzionare: il pensiero è rapido, ramificato, associativo. Le emozioni sono profonde, complesse, spesso difficili da gestire. L’intuizione è spiccata, ma la stessa acutezza può diventare un’arma a doppio taglio.

La plusdotazione non scompare con l’età. Tutt’altro: negli adulti può diventare più faticosa, perché spesso si accompagna a una lunga storia di incomprensioni, frustrazioni e fallimenti apparenti.

Molti adulti ad alto potenziale non sanno nemmeno di esserlo. Hanno trascorso l’infanzia sentendosi strani, fuori posto, troppo sensibili o troppo “pensierosi”. E l’età adulta non ha fatto che accentuare questo senso di alienazione.

Un’intelligenza che pensa… troppo

Una delle caratteristiche più ricorrenti nei plusdotati è il pensiero inarrestabile. Non si spegne mai.

Una semplice domanda può generare un fiume di riflessioni, associazioni, ipotesi. Questo tipo di mente ha una profondità e una velocità fuori dal comune, ma può diventare difficile da gestire nella vita quotidiana.

Il rischio? L’iperanalisi, la difficoltà a prendere decisioni, la tendenza a rimuginare e ad anticipare ogni possibile scenario, spesso in modo catastrofico.

Si parla spesso di “pensiero a ragnatela”, opposto al pensiero lineare. È un pensiero che salta da un’idea all’altra con naturalezza, ma che può disorientare chi lo vive e chi sta intorno.

Ipersensibilità sensoriale: sentire “troppo” e “troppo bene”

Molti bambini e adulti plusdotati presentano una spiccata ipersensibilità sensoriale, cioè una percezione amplificata degli stimoli esterni.

Un rumore di fondo, una luce troppo forte, una maglietta che “punge” o un odore intenso possono risultare fastidiosi o addirittura insopportabili, al punto da compromettere la concentrazione o il benessere.

Questa sensibilità non è solo fisica, ma spesso si accompagna a una forte reattività emotiva: lo stimolo sensoriale genera un vissuto interno intenso, difficile da ignorare o controllare.

Una buona metafora per capire questa condizione è quella del microfono ultra-sensibile: capta anche i suoni più deboli e li amplifica, rendendo difficile distinguere ciò che è davvero importante da ciò che è solo “rumore di fondo”.

Così funziona la percezione sensoriale dei plusdotati: tutto arriva insieme, tutto è amplificato.

Ipersensibilità e vulnerabilità emotiva

Un altro aspetto centrale è l’ipersensibilità emotiva. Gli adulti plusdotati percepiscono il mondo con maggiore intensità: gioie, dolori, relazioni, stimoli ambientali.

Tutto arriva più forte. Questo può portare a vivere esperienze comuni in modo travolgente. Un commento critico, una lite, un film toccante… possono lasciare un segno profondo.

Questa ipersensibilità, se non riconosciuta, può essere interpretata come debolezza, instabilità o esagerazione.

In realtà è una forma di apertura estrema al mondo, una ricchezza che, se gestita con consapevolezza, può diventare una risorsa incredibile.

Il paradosso della plusdotazione: sentirsi “troppo” e “mai abbastanza”

Molti adulti plusdotati vivono nel paradosso costante del sentirsi “troppo” e “mai abbastanza”. Troppo sensibili, troppo pensanti, troppo intensi… e allo stesso tempo mai abbastanza bravi, efficaci, riconosciuti.

Questo genera un senso di disadattamento profondo, spesso mascherato dietro maschere di iper-performance o, al contrario, di ritiro.

La paura del fallimento è una costante. Nonostante le potenzialità, molti adulti ad alto potenziale evitano di esporsi, perché l’idea di sbagliare è intollerabile.

Alcuni sviluppano un perfezionismo bloccante, altri si auto-sabotano senza nemmeno rendersene conto.

La svolta della consapevolezza: scoprire di essere plusdotati in età adulta

Per chi ha vissuto per anni sentendosi “sbagliato”, scoprire la propria plusdotazione può essere una liberazione. Non risolve tutto, ma permette di rileggere la propria storia con uno sguardo nuovo.

Comportamenti che prima sembravano irrazionali — come la tendenza a isolarsi, la difficoltà nei rapporti superficiali, la costante ricerca di senso — assumono finalmente un significato.

Il riconoscimento identitario è il primo passo verso l’equilibrio. Sapere come funziona la propria mente, dare un nome alle proprie emozioni, capire i propri limiti senza giudicarsi… tutto questo apre la strada all’autenticità.

Dalla sopravvivenza all’autenticità

La plusdotazione, se accolta e compresa, può diventare un’enorme risorsa.

Non è facile. Richiede consapevolezza, supporto, e il coraggio di rompere con schemi imposti. Ma è possibile. E quando accade, la mente iperattiva si trasforma in creatività, l’ipersensibilità in empatia, l’insofferenza in spinta al cambiamento.

In fondo, forse la felicità non è un traguardo, ma la possibilità di essere finalmente se stessi.

Prendersi cura della propria neurodivergenza: percorsi di trattamento

Quando la diagnosi di plusdotazione arriva in età adulta, spesso porta con sé un misto di sollievo e smarrimento.

Da un lato, finalmente si dà un nome a un sentire profondo e persistente di essere “diversi”: pensieri troppo veloci, ipersensibilità, fatica a stare nelle regole, insoddisfazione cronica, difficoltà nei rapporti superficiali.

Dall’altro lato, può emergere un senso di lutto per ciò che non è stato riconosciuto prima: talenti inespresso, percorsi interrotti, fatiche non comprese.

Prendersi cura della plusdotazione da adulti significa integrare questa nuova consapevolezza nella propria identità, rileggere con uno sguardo più compassionevole le difficoltà del passato e iniziare a costruire uno spazio in cui potersi esprimere pienamente.

Non si tratta solo di “valorizzare il potenziale”, ma di imparare a rispettare il proprio funzionamento neuropsicologico, dare spazio alla creatività, scegliere contesti lavorativi e relazionali coerenti con i propri valori profondi. Potrebbe essere importante intraprendere un percorso psicologico per rafforzare autostima e autenticità e essere guidati in questa nuova scoperta di sé.

La plusdotazione in età adulta non è un superpotere né una condanna: è una lente nuova con cui rileggere la propria storia e iniziare a scriverne una più aderente a sé.

Bibliografia

  • Bishop, J. (2015). Gifted Adults: A Systematic Review and Analysis of the Literature
  • Celi, M. (2021). Alto potenziale e plusdotazione. Comprendere e sostenere bambini e ragazzi gifted. Giunti Edu
  • Siaud-Facchin, J. (2014). Trop intelligent pour être heureux? L’adulto superdotato (Edizione italiana). Raffaello Cortina Editore.
  • Sprey, A. (2026). Cognitive Behavior Therapy with Gifted Adults: A Guide to Personality, Diagnostics, and the Therapeutic Relationship. London: Routledge.
  • Voli, V. (2024). La plusdotazione cognitiva. Correlati neurali e aspetti psicologici. Youcanprint.
  • Webb, J. T., Amend, E. R., Webb, N. E., Goerss, J., Beljan, P., & Olenchak, F. R. (2005). Misdiagnosis and Dual Diagnoses of Gifted Children and Adults: ADHD, Bipolar, OCD, Asperger’s, Depression, and Other Disorders. Scottsdale, AZ: Great Potential Press.

 

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Alessia Gatti

Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, lavora nel territorio toscano a Forte dei Marmi, Pistoia e Pisa (Navacchio), oltre che presso IPSICO, Firenze. Ha come principali aree di intervento la diagnosi e il trattamento dei disturbi di personalità e la dissociazione traumatica. Si occupa inoltre di problematiche relazionali quali difficoltà di coppia, disfunzioni sessuali, depressione post-partum. È socio professionista della Società Italiana Schema Therapy (SIST) e socio ordinario della Società Italiana di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (CBT – Italia).

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