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IPSICO, Firenze

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Il chairwork: l’uso delle sedie in terapia cognitivo comportamentale

Il lavoro con le sedie in terapia cognitivo comportamentale

Cos’é il chairwork

Il chairwork è una modalità di lavoro esperienziale che utilizza delle sedie e le loro possibili posizioni  con una finalità terapeutica.

Le tecniche che usano le sedie hanno oltre un secolo di storia e sono ormai oggi utilizzate in molti approcci terapeutici tra i quali quelli psicodinamici (Fosha 2000), esperienziali (Greenberg et al. 1993) ma anche nella CBT (Pugh, 2017).

Storia del chairwork

Il chairwork è nato con il lavoro di Jacob L. Moreno, fondatore dello psicodramma. Moreno criticò la psicoanalisi per il suo essere centrata su una dimensione “verbale” e a partire dagli anni  ‘20 iniziò ad impiegare metodi basati invece sull’ “azione” per aiutare le persone a “mettere in scena” le parti di sè, agendo i loro ruoli conflittuali al fine di rimettere insieme le loro parti.

Moreno credeva che la percezione fosse principalmente alimentata dall’azione, quindi maggiormente suscettibile di cambiare attraverso l’enactment (Pugh,2021).

Influenzato da Moreno, anche lo psicologo americano George Kelly respinse gran parte della psicanalisi e sostenne che le azioni dei pazienti erano maggiormente legate al loro al disagio emotivo piuttosto che direttamente alla loro storia. Dal 1955 Kelly sviluppò la psicologia dei costrutti personali, descritta da alcuni come la convergenza fra il comportamentismo e lo  psicodramma.

In sostanza abbracciava una visione costruttivista della personalità, affermando che le persone creino se stesse e quindi possano anche ricrearsi nel momento in cui i “consueti”modi diventano problematici (Pugh,2021).

Perls ha dato negli anni ’50 un contributo fondamentale al lavoro con il chairwork, introducendolo e rendendolo centrale all’interno dall’approccio gestaltico.

Formatosi con Moreno, per Perls i conflitti emotivi avrebbero potuto essere risolti solo rendendo evidenti le loro manifestazioni nel qui e ora. Quindi, piuttosto che parlare dei loro problemi, Perl affermava che i pazienti dovessero parlare a questi problemi. In questa modalità di lavoro i pazienti venivano invitati a interpretare tutti i loro “ruoli” sulla “sedia calda” all’interno del setting terapeutico.

Si deve a Leslie S. Greenberg invece la chiarezza sulla scientificità di queste tecniche, con ricerche condotte a partire dagli anni ’70 che ne hanno sancito l’efficacia clinica (Greenberg et al., 1993).

Molte varianti di chairwork in psicoterapia

La tecnica della “sedia vuota” prevede che il paziente parli con un altro simbolicamente collocato su una sedia vuota. Questo “altro” può essere una persona che ha fatto o fa parte della vita del paziente, in modo che la persona posso confrontarsi con lui.

Ma la stessa tecnica può essere anche utilizzata per facilitare i dialoghi con le parti interne del sé. Ad esempio la riduzione dell’autocritica può essere facilitata dalla messa in discussione del proprio critico interiore rappresentato su una sedia vuota.

La tecnica con più sedie invece aiuta la persona a parlare e a confrontarsi con due o più sedie che rappresentano specifici pensieri, sentimenti, prospettive o motivazioni.

I roleplay basati sull’utilizzo della sedia consentono alle persone di esaminare e simulare delle interazioni tra sè e sè e tra sè e l’altro. Vengono quindi messi in azione interazioni e comportamenti che coinvolgono gli altri, al fine di esercitarsi per apprendere nuove modalità più funzionali al benessere della persona, migliorare la capacità di cambiare prospettiva o dare senso alle esperienze sociali problematiche.

Ma, oltre al lavoro interpersonale, i role play possono allo stesso modo essere utilizzati per “mettere in scena” parti interne del sè.

Le forme di dialogo che la tecnica del Chairwork consente sono quindi dialoghi “esterni” (interpersonali, con persone del passato, presente o futuro) o “interni” (intrapersonali) quindi con parti del sè.

L’utilizzo del chairwork nella CBT

La terapia comportamentale nasce negli anni ’50 con la finalità di modificare il comportamento disadattivo. Uno dei primi interventi usati dai comportamentisti era il training sulle competenze assertive e per farlo già Wolpe utilizzava regolarmente gli “psicodrammi” durante la seduta.

A questo è seguita un’ampia diffusione delle simulazioni comportamentali nella terapia (termine più diffuso nella terapia comportamentale piuttosto che quello di “psicodramma”).

Nella terapia razionale di Albert Ellis (oggi terapia comportamentale razionale emotiva) è centrale l’idea che il disagio psicologico si origina da credenze irrazionali sottostanti. La confutazione di tali idee e lo sviluppo di una prospettiva più razionale si rivelava spesso efficace, ma alcune di tali credenze rimanevano resistenti al cambiamento.

É in questi casi che anche Ellis raccomandava l’utilizzo di tecniche “energiche” di chairwork in modo da mettere a fuoco in maniera più nitida le credenze irrazionali e facendo si che la loro messa in discussione fosse una esperienza forte e significativa (Pugh,2021).

La CBT per i casi più complessi

A partire dagli anni 90 sono stati elaborati trattamenti cognitivisti per i casi più complessi (Beck et al., 1990; Young 1990). Si tratta di terapie più a lungo termine che hanno integrato e promosso l’uso di interventi attivi ed evocativi. Si è riconosciuta la necessità di lavorare con materiale cognitivo “caldo” e l’importanza dell’attivazione emotiva per conseguire cambiamenti a livello cognitivo.

È cosi che dagli anni 90 si è assistito all’emergere di nuova generazione di psicoterapia, la cosiddetta Terza Onda della terapia cognitiva.

In questa nuova genarazione troviamo l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) la Compassion Focused Therapy (CFT), la terapia dialettico comportamentale (DBT), la Schema Therapy (ST). Sebbene fortemente distinti per molti aspetti, questi approcci condividono alcuni principi comuni incluso il ruolo terapeutico dell’accettazione, della consapevolezza non giudicante e dei processi metacognitivi.

A definire questa nuova generazione di terapia,  c’è anche un apprezzamento crescente sul ruolo della molteplicità del sè.

Gli approcci della terza onda hanno accolto questo modello poliedrico e dinamico dell’ipseità. Per aiutare a districare, concretizzare e stimolare le interazioni tra le parti del sé, hanno integrato il chairwork a titolo di intervento terapeutico centrale.

Principi del Chairwork

La molteplicità del sè

La molteplicità del sè si riferisce quindi all’assunto che il sè è composto da parti multiple che interagiscono.  Si ritiene che queste parti del sè si formino come combinazioni specifiche di eventi mentali che gradualmente si organizzano in risposta agli eventi della prima infanzia. Nel corso dello sviluppo questi stati di base della mente si riuniscono per formare esperienze distinte o “Stati del sè”.

Personificazione

La personificazione si riferisce all’attribuzione di caratteristiche umane ad un elemento non umano. Nel chairwork la parte del sè viene concettualizzata “con sembianze umane” e posto su una sedia vuota. Posizionare le parti del sè su sedie separate permette di ricavare da loro informazioni (facendole parlare) e ricevere informazioni (facendole ascoltare).

Embodiment

L’embodiment è un altro modo per “rendere vive” le parti del paziente invitando però il paziente stesso ad inscenare le diverse parti del sè su sedie diverse, parlando “come se” o ad “essere” quella parte del sè.

Le teorie dell’embodiment ipotizzano che processi psicologici e stati fisiologici influiscano gli uni sugli altri in modo bidirezionale: mentre la cognizione influenza il corpo e le emozioni attraverso l’elaborazione top-down, gli stati corporei possono anche influenzare i processi cognitivi ed emotivi attraverso l’elaborazione bottom-up.

La ricerca supporta queste asserzioni dimostrando che i cambiamenti negli stati corporei influenzano l’emozione, la valutazione cognitiva e il comportamento.

Nel contesto del chairwork l’embodiment permette una esperienza immersiva e suggestiva delle diverse parti di sé, combinando le modalità bottom up e top down di elaborazione delle informazioni e permettendo anche il vissuto di nuove esperienze del sè autentiche e ancorate a stati fisiologici.

Il dialogo

Mentre la personificazione e l’embodiment delle parti del sè rappresentano gli strumenti del chairwork,  il dialogo tra queste prospettive rappresenta l’obiettivo del lavoro.

Spesso è proprio grazie allo scambio di informazioni che avviene attraverso il dialogo che si verificano cambiamenti del pensiero, nel sentimento e nel comportamento.

Finalità del chairwork in terapia cognitivo comportamentale

Affrontare i pensieri automatici negativi

Questa tecnica è uno strumento importante per valutarli e modificarli, soprattutto quando sono molto consolidati o quando le altre tecniche di ristrutturazione non si sono rivelate sufficienti.

Lavorare con le emozioni problematiche

Le tecniche di chairwork  possono essere molto utili per fare chiarezza nella esperienza emotiva.

Il paziente viene aiutato a rappresentare stati emotivi specifici su sedie separate (es. “sè arrabbiato”, “sè ansioso” etc) cosicchè gli aspetti emotivi dell’esperienza vengono chiariti, elaborati insieme alle motivazioni sottostanti, gli stati corporei e i ricordi associati.

Entrare e uscire da tali stati, grazie agli spostamenti sulle sedie, permette di stabilire una distanza psicologica e quindi quel  fondamentale processo di “decentramento” necessario all’elaborazione emotiva.

L’espressione emotiva fatta in modo evocativo permette allo stesso tempo di esperire la validità di tali stati del sè e la possibilità di tollerarli.

Le abilità di regolare le emozioni e autocalmarsi vengono facilitate a apprese quando si invita il paziente ad usare le diverse sedie per esprimere il proprio disagio, poi rispondere a tali vissuti difficili  in maniera accudente e validante e poi a fare esperienza di ricevere tali cure.

Consolidare le credenze positive di base è un’altro degli obiettivi espliciti della CBT. Il chairwork può essere molto utile per far sperimentare una esperienza emotivamente molto carica degli schemi positivi, infondendo una autentica sensazione di veridicità. In questo modo si contribuisce alla costruzione e al  rafforzamento di un vero e propio nuovo modo di percepirsi, più sano e equilibrato.

Usare il chairwork per sviluppare compassione

Il chairwork rappresenta un metodo esperienziale fondamentale nella Compassion Focused Therapy (Gilbert, 2017), sviluppatasi per il trattamento dei disturbi emotivi caratterizzati da vergogna e autocritica.

Attraverso l’esperienza con le sedie si cerca di sviluppare una “mente compassionevole” e capace di cura  verso se stessi e  verso gli altri.

Il chairwork viene utilizzato per facilitare i dialoghi tra le parti angosciate dei pazienti e la loro parte compassionevole, in modo da esprimere, validare e consolidare la capacità di cura di sè nel momento presente.

Il chairwork per lavorare sugli schemi e sui mode nella Schema Therapy

La Schema Therapy (ST) integra elementi cognitivo-comportamentali, della terapia esperienziale e della psicodinamica.

La ST postula che la sofferenza psicologica è causata da “schemi disadattivi” (modelli cognitivo-affettivi che si sviluppano a partire dall’infanzia) e “mode” associati (costellazioni dinamiche di pensieri, sentimenti e comportamento) (Arntz & Gitta, 2013).

Gli interventi esperienziali sono considerati particolarmente efficaci per le modificazioni sia degli schemi che dei mode, permettendo per esempio di combattere i mode “genitore critico”, di prendersi cura dei “mode bambino vulnerabile” o “arrabbiato”  e di rafforzare il mode “adulto sano”.

Animare il mondo interno del paziente aiuta a comprendere, validare e ad accettare la forza relativa delle parti del sé e come si relazionano tra loro.

Attraverso l’esternalizzazione delle esperienze interne e il dialogo tra le parti possono crearsi modalità relazionali nuove, più sane e funzionali, applicabili alla propria realtà dinamica interna ma anche nelle esperienze con gli altri nella dimensione interpersonale.

Bibliografia

  • Arntz A., Gitta J. (2013). Schema Therapy in azione. Teoria e pratica. Ist. Scienze Cognitive
  • Fosha D. (2000). The transforming power of affect: A model for accelerated change. Basic Books, New York, NY
  • Gilbert P. (2017). Compassion: definition and controversies. In p. Gilbert (a cura di) Compassion: concepts, research and applications, pp.3-15. Routledge, Londra
  • Greenberg et al. (1993). Facilitating emotional change: The moment by moment process. Guilford, New York, NY
  • Pugh M. (2017). Chairwork in cognitive behavioral therapy: A narrative review. Cognitive Therapy and Research. 41, 16-30
  • Pugh M. (2020). Il chairwork nella terapia cognitive comportamentale. Una guida pratica alla tecnica dell sedie. Giovanni Fioriti Editore, Roma
  • Young J.E.(1990). Cognitive Therapy for personality disorders: A schema focused approach. 1 ed. Prefessional Resource Exchange, Sarasota, FL

 

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Articolo del 22/02/2023 Contrassegnato con: psicoterapia cognitivo comportamentale

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Elisa Grechi

Psicologa, psicoterapeuta e supervisore EMDR. Perfezionamento in Counseling ad indirizzo Rogersiano. Lavora da più di 10 anni per la LILT presso il Centro di Riabilitazione Oncologica di Firenze (CeRiOn – ISPRO). Con lo stesso Istituto collabora oltre che nella riabilitazione anche nell’ambito della ricerca e della formazione del personale sanitario. In questi anni ha approfondito le proprie competenze in ambito oncologico e nell’approccio integrato Mind-Body presso la Harvard Medical School. Opera come psicoterapeuta presso l’Istituto IPSICO di Firenze e si occupa principalmente di problematiche relative al trauma e alla dissociazione, disturbi di ansia e problematiche relazionali.

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