In questi tempi dominati da social network, smartphone e computer, si assiste sempre di più alla nascita di nuove fobie che, benché non ancora riconosciute e quindi non ancora entrate a pieno titolo nel DSM (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali), sono comunque oggetto di interesse crescente da parte degli esperti del settore.
Per fobia, chiaramente, non si intende il semplice interesse e utilizzo di queste nuove tecnologie, diventate ormai di comune uso quotidiano per la maggior parte di noi, quanto ovviamente una paura immotivata e irrazionale nei confronti di situazioni reali o immaginate; l’emozione prevalente è l’ansia, che comunica al cervello la presenza di una “minaccia”. L’ansia, che per sua natura provoca solitamente due tipologie di reazioni, ovvero l’attacco o la fuga, in questi casi fa sì che nell’individuo prevalga quest’ultima, mettendo in atto quello che è il comportamento protettivo per eccellenza, ovvero l’evitamento.
Tra queste fobie di nuova generazione, citiamo la cosiddetta “nomofobia”, legata alla paura di trovarsi in situazioni in cui non si disponga di rete mobile, connessione dati o batteria del cellulare o del computer carica. Da una ricerca effettuata in Gran Bretagna è emerso che circa il 58% degli uomini e il 48% delle donne è incline a mostrare uno stato ansioso quando scopre di avere il cellulare scarico o si accorge di non avere connessione a internet; per evitare di correre questo rischio, quindi, evitano di restare a lungo senza cellulare o di recarsi in luoghi senza rete (immersi nella natura o lontani da città e centri abitati).
Pare che non si possa parlare di una predisposizione legata all’età, anche se l’opinione comune vedrebbe i giovani come quelli potenzialmente più nomofobici. In realtà, tutto dipende dall’utilizzo che ognuno fa del proprio smartphone o computer; quanto più è importante rimanere “collegato” con il resto del mondo e sentirsi in grado di connettersi in ogni momento, tanto più risulterebbe probabile una reazione ansiosa di fronte all’impossibilità di farlo concretamente.
Oltre alla nomofobia, rimanendo nella sfera delle nuove tecnologie, un’altra fobia che sta dilagando, in questo caso soprattutto tra i più giovani e che ancora non ha ricevuto un nome vero e proprio, è quella legata alla paura di non ricevere un numero sufficiente di “like” ai propri post pubblicati sui social.
Alla base di questa fobia parrebbe esserci, così come per la più “vintage” fobia sociale, il timore del giudizio altrui: postare qualcosa e non ottenere un feedback in termini di visibilità e popolarità può seriamente mettere in discussione l’autostima di un individuo che, probabilmente, eviterà da quel momento di pubblicare altri contenuti personali, per non dover affrontare nuovamente la delusione di ricevere pochi “like”.
Infine, si parla di “deipnofobia” per indicare la paura persistente, ingiustificata e anormale di affrontare le conversazioni durante un pranzo, una cena o comunque un momento conviviale. Secondo l’APC (Associazione di Psicologia Cognitiva), circa il 13% della popolazione ha presentato almeno una volta nella vita un episodio di deipnofobia; nei casi più gravi, l’individuo mette in atto l’evitamento di tutti quegli appuntamenti “a rischio”, per non sentirsi poi costretto a dover dire qualcosa di interessante o particolarmente brillante. Alcuni clinici tendono a far derivare questa fobia dall’assenza di vere e proprie regole sociali a tavola e soprattutto al bisogno di dover essere sempre brillanti e all’altezza delle situazioni sociali.
Rivolgersi a specialisti del settore , in particolar modo a psicoterapeuti cognitivo-comportamentali, può essere il primo valido passo per affrontare e provare a risolvere questi problemi, basandosi sui protocolli di terapia utilizzati per le fobie specifiche e le fobie sociali più comunemente e ampiamente conosciute.