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Procrastinazione: l’abitudine di rimandare

rimandare sempre - procrastinare

Ad ognuno di noi capita di rimandare un impegno più o meno gravoso, pensando al piacere momentaneo di concedersi un istante di disimpegno, come rimanere “altri cinque minuti” sotto le coperte nelle fredde mattinate invernali. Ci sono tuttavia soggetti che sistematicamente sono abituati a rimandare impegni e scadenze cadendo nella trappola della procrastinazione.

Definiamo procrastinazione quel comportamento che spinge a rimandare intenzionalmente un’azione malgrado prevedibili conseguenze negative, optando per un benessere a breve termine a costo dei benefici a lungo termine.

Chi tende a procrastinare sostituisce attività prioritarie e importanti con attività piacevoli o compiti meno rilevanti o urgenti; la procrastinazione è quindi quel piccolo intervallo che intercorre tra il momento in cui pensiamo di affrontare un compito (intenzione) e quello in cui decidiamo di rinunciarvi (azione).

Ciò che sappiamo grazie alla ricerca, e che spesso non è così chiaro ai procrastinatori, è che questo comportamento è fortemente associato ad emozioni negative come colpa, vergogna e paura del fallimento.

Rimandare un impegno, come scrivere quest’articolo o semplicemente lavare i piatti, arreca momentaneamente una sorta di sollievo e diventa una strategia di gestione delle emozioni negative legate alla difficoltà o alla spiacevolezza dell’incombenza da portare a termine, rinforzando conseguentemente un comportamento che, se messo in atto sistematicamente, può avere costi notevoli nel lungo termine.

Chi procrastina quindi mette in atto una forma di evitamento che gli impedisce di entrare in contatto con le proprie paure, le proprie insicurezze ed i propri limiti. Questo modo di affrontare il proprio mondo interno diventa un fallimento dell’autoregolazione emotiva, motivazionale e comportamentale, tanto da essere stato correlato ad una modalità comportamentale che sembra quasi opposta alla tendenza di rimandare come l’impulsività.

Le ricerche ci mostrano come queste due problematiche condividano la mancanza di un’abilità cognitiva chiamata gestione degli obiettivi (goal management), definita come l’abilità di mantenere attivamente, e se necessario recuperare, i propri obiettivi a breve e a lungo termine come guida ai propri comportamenti.

Un’altra caratteristica di chi ha la tendenza a procrastinare è il perfezionismo che porta con sé la credenza di non essere in grado di affrontare un compito se non si riesce ad arrivare ad un alto standard esecutivo.

La sensazione che accompagna chi procrastina per perfezionismo è quella di non essere mai abbastanza pronto o sicuro delle proprie capacità, conoscenze o competenze, finendo per dedicarsi ad attività che non coinvolgono la messa in discussione del proprio valore personale. Queste ed altre possono essere le caratteristiche sottostanti al meccanismo della procrastinazione che la terapia cognitivo-comportamentale può aiutarci ad affrontare con strumenti e strategie di gestione.

Come ben descritto nel libro “Prima o poi lo faccio” di Monica Ramirez Basco, possiamo cominciare a prendere consapevolezza delle nostre autoimposizioni (doverizzazioni), dell’aspra autocritica o della tendenza a sentirsi in colpa.

La terapia cognitivo-comportamentale incentiva e facilita l’esplorazione dei pensieri automatici, rendendoli consapevoli e proponendone una revisione in funzione del cambiamento.

Favorisce, inoltre, un cambio di rotta nei meccanismi di evitamento, ridimensionando i pensieri catastrofici e programmando esposizioni che “allenano” il nostro sistema a stare in contatto con esperienze emotive ritenute insostenibili, creando così un circolo virtuoso che spezza il meccanismo ricorsivo dell’evitamento.

Esplorando i gli eventi, le credenze e le emozioni che partecipano al mantenimento della procrastinazione possiamo scoprire anche come spesso questa venga usata nelle relazioni come arma di resistenza passiva a richieste alle quali non ci sentiamo in grado di opporci.

Approfondire questi meccanismi può favorirne la presa di coscienza e la conseguente programmazione di cambiamenti, la flessibilizzazione di meccanismi rigidi tutto-nulla e la promozione di azioni comportamentali che fortifichino la fiducia in se stessi e nelle proprie risorse.

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Elena Micheli

Psicologa Psicoterapeuta presso l’Istituto IPSICO di Firenze. Terapeuta EMDR II livello, formata in Psicoterapia Sensomotoria, Terapia Metacognitiva e Acceptance and Commitment Therapy. Si occupa primariamente di disturbi di personalità, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, psicotraumatologia e psicodiagnosi. Presso l’Istituto IPSICO di Firenze si occupa anche di progetti di ricerca e divulgazione scientifica ed è socia dell’Associazione EMDR Italia. Profilo linkedin

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