La fobia delle emozioni
Il concetto di affect phobia, sviluppato nel contesto della psicoterapia dinamica breve (McCullough et al., 2003), si riferisce alla paura appresa nei confronti delle emozioni – sia positive che negative – che vengono vissute come pericolose, destabilizzanti o inaccettabili.
Le persone che vivono con allarme questi stati interni possono avere diverse convinzioni errate alla base di questa fobia: ad esempio, possono avere la credenza che le emozioni siano intollerabili o soverchianti, abbiano una durata interminabile oppure che abbiano un’intensità tale da indurli a perdere il controllo e lucidità mentale.
Inoltre, questa fobia verso l’esperienza affettiva porta queste persone a mettere in atto inconsapevoli meccanismi di fronteggiamento delle emozioni stesse volti a ridurne l’impatto o ad allontanarne l’esperienza stessa: forme di evitamento, soppressione, dissociazione o inibizione espressiva.
Per evitamento ci si riferisce ad un comportamento interno o visibile che prevenga il contatto con uno stimolo emotigeno (es., non andare ad un funerale oppure non pensare ad un momento felice con una persona attualmente defunta per aura di non reggere il dolore). La soppressione è un meccanismo mentale con cui la persona sposta l’attenzione da un evento emotivamente attivante ad uno neutro o positivo (es., distrarsi volutamente giocando ai videogiochi per spostare la mente dal pensiero della mia ex fidanzata che mi ha lasciato). L’inibizione espressiva dell’emozione risulta invece essere un meccanismo talvolta parzialmente volontario ma appreso nel tempo con cui la persona “finge” di non provare una determinata emozione temuta andando così a ridurre anche l’intensità di percezione della stessa con una sorta di auto-inganno mentale (es., mostrarsi impassibile davanti ad uno scherno altrui va a ridurre l’impatto momentaneo dell’esperienza di vergogna). Infine, la dissociazione è un meccanismo totalmente automatico che la mente compie che di solito si attiva spontaneamente in difesa di fronte a stimoli percepiti dal cervello come troppo intensi per poter essere immediatamente processati (percepiti, riconosciuti e poi elaborati).
Nonostante il termine affect phobia non venga comunemente utilizzato in ambito clinico-comportamentale, il suo corrispettivo concettuale, ovvero l’evitamento emotivo (emotional avoidance o experiential avoidance), è un meccanismo ampiamente riconosciuto e indagato all’interno di svariate forme psicopatologiche.
Infatti i meccanismi di inibizione emotiva e di evitamento esperienziale sono presenti transdiagnosticamente in diversi disturbi mentali, ma essi assumono un ruolo nucleare nella psicopatologia post traumatica.
Fobia delle emozioni e trauma (con PTSD)
Nella storia della psicopatologia sono state date numerose definizioni di trauma psicologico e lo stesso studio del trauma e delle sue conseguenze psichiche è stato oggetto di continua ricerca, proprio nel tentativo di riformulare e ridefinire le categorie diagnostiche e i sintomi riconducibili ad eventi avversi.
In generale possiamo definire il trauma psicologico, come la conseguenza di un evento fortemente negativo e minaccioso per la vita, che genera una frattura emotiva nell’individuo e/o nella comunità che lo vive, tale da minare il senso di stabilità, di sicurezza, di identità e di continuità fisica e psichica della persona o delle persone che si sono trovate ad affrontarlo (Hermann, 1992; Krystal, 1988; Van der Kolk, 1996).
Non tutti gli eventi stressanti generano reazione post traumatiche patologiche ed un evento diventa effettivamente traumatizzante nel momento in cui soverchia la possibilità dell’individuo di adattarsi alla stimolazione eccessiva insita nell’evento stesso.
Disturbo post-traumatico
Tra le diagnosi correlate al trauma che il Manuale Diagnostico del Disturbi mentali (DSM 5; APA, 2013) riconosce, particolare rilievo assume il Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD).
Il PTSD riguarda una grave sofferenza psicologica che si manifesta in conseguenza all’aver vissuto un evento traumatico che implica per se stessi o per le persone vicine, come familiari e amici, gravi lesioni, rischio di morte, o morte. Anche l’assistere a un evento violento che accade ad altri può rappresentare un evento traumatico.
Per effettuare una diagnosi di PTSD essere verificati i seguenti criteri (APA, 2013):
A) La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
- la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
- la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore.
(Nota: nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato).
B) L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
- ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni.
(Nota: nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma). - sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.
(Nota: nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile). - agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione).
- disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
- reattività fisiologica alla esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
C) Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
- sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma
- sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
- incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma
- riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative
- sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri
- affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore)
- sentimenti di diminuzione delle prospettive future(per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli o una normale durata della vita).
D) Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
- insonnia: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
- irritabilità o scoppi di collera
- difficoltà a concentrarsi
- ipervigilanza
- esagerate risposte di allarme.
E) La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.
F) Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Come si può facilmente notare, la presenza di sintomi di evitamento risulta una caratteristica distintiva del PTSD tanto da essere riconosciuta come criterio diagnostico necessario dal DSM-5 stesso (criterio C). Tali meccanismi di evitamento possono essere rivolti a stimoli interni (emozionio, pensieri, immagini ricordi) o stimoli esterni (luoghi, persone, suoni) connessi al trauma.
La ricerca ha fornito da sempre supporto alla centralità dell’evitamento emozionale nella sintomatologia post traumatica del PTSD.
Infatti, diversi studi hanno evidenziato che l’evitamento emozionale ha un ruolo di meccanismo di mantenimento centrale, in grado di interferire con l’elaborazione del trauma e con l’integrazione affettiva dell’esperienza traumatica.
Secondo la Emotional Processing Theory di Foa e Kozak (1986), evitare pensieri, ricordi ed emozioni legati al trauma impedisce l’integrazione correttiva delle memorie traumatiche, sostenendo i sintomi intrusivi e l’iperarousal.
Numerosi studi trasversali e longitudinali hanno evidenziato una forte correlazione tra livelli di evitamento emotivo e gravità dei sintomi PTSD, osservando che l’evitamento delle emozioni dolorose contribuisce a mantenere attivi i sintomi di iperattivazione neurovegetativa, dissociazione, ruminazione e preoccupazione cronica (Tull et al. 2007; Tull et al., 2011; Bardeen et al., 2015; Seligowski et al., 2015).
Meta‑analisi recenti confermano un’associazione da moderata a forte tra experiential avoidance e sintomatologia post‑traumatica (Akbari et al., 2022), supportando l’idea che la paura appresa delle emozioni non sia un fenomeno secondario, bensì un meccanismo di mantenimento chiave del PTSD.
Fobia ed emozioni nel DOC: la contaminazione mentale
È ormai noto che esistono casi di ampia sovrapposizione tra le esperienze traumatiche e Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC), soprattutto nei casi con sintomi da contaminazione mentale.
Rachman già negli anni 90 aveva individuato un tipo di contaminazione (detta “mentale”, CM) da distinguere dalla contaminazione fisica (detta “da contatto”, CC) più comunemente riscontrabile nel disturbo ossessivo compulsivo.
La contaminazione mentale viene descritta da Rachman (1994) come una sensazione di sporco e contaminazione interna che la persona sperimenta in assenza di un contatto fisico con un agente contaminante. Essa, al contrario da quella da contatto, è innescata da stimoli intangibili come pensieri o immagini mentali indesiderate.
Nonostante i sentimenti di sporco interno della CM esitino in comportamenti compulsivi di lavaggio come per la CC, essa può essere accompagnata da emozioni più svariate quali disgusto, vergogna, paura e rabbia associate ed ha una fonte di innesco più oscura e meno concreta (Rachman, 2006).
Studi successivi hanno esplorato il legame tra sintomi di CM e episodi traumatici pregressi, riscontrando sintomi di contaminazione mentale anche in campioni di soggetti con PTSD (i.e., Olatunji et al., 2008) e confermando la natura transdiagnostica del costrutto stesso.
In particolare, sintomi di sporco interno e bisogno eccessivo di lavaggi sono risultati presenti in persone che avevano subito violente sessuali e questi sintomi di CM restavano stabili nel tempo, oltre a poter essere ri-innescati dal solo ricordo dell’abuso subito (i.e., Fairbrother and Rachman, 2004).
Infine studi sperimentali hanno dimostrato che sintomi di contaminazione mentale possono essere indotti, in soggetti sani e privi di traumi pregressi, anche solo immaginando scene di violazione fisica quali il ricevere un bacio non consensuale o ugualmente essere agente della violazione verso un’altra persona (i.e., Zhong and Liljenquist,2006; Fairbrother, Newth,&Rachman,2005; Herba & Rachman, 2007; Radomsky & Elliot,2009; Rachman, Radomsky, Elliot,& Zysk, 2012).
Ad oggi quindi sappiamo che lo sporco interno tipico della contaminazione mentale è innescato da stimoli mentali (immagini, pensieri o ricordi) connessi a episodi passati vissuti dalla persona come immorali, trasgressivi sia come azioni compiuto sia come esperienze di vittimizzazione (violazioni o abusi).
Conclusioni
L’evitamento esperienziale è un meccanismo centrale nella gestione delle emozioni connesse al trauma ed il trauma un fattore eziopatogenetico della sintomatologia di contaminazione mentale presente in diversi disturbi psicopatologici, quali il PTSD ed il DOC.
Ne deriva che l’attenzione di clinici e ricercatori in ambito psicologico e psicopatologico si potrebbe rivolgere allo studio di tale meccanismo (emotional avoidance o experiential avoidance) in soggetti con sintomi ossessivo-compulsivi da contaminazione mentale.
In particolare, nel setting terapeutico dove ancora oggi i clinici incontrano difficoltà nel trattamento del DOC da CM nuova attenzione potrebbe essere posta al ruolo di processi di evitamento emozionale i quali potrebbero costituire un fattore di mantenimento importante della sintomatologia in atto e quindi un oggetto non trascurabile di lavoro terapeutico.
Bibliografia
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