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Disgusto: il ruolo nella psicopatologia

disgusto emozione

Il disgusto, esattamente come tutte le altre emozioni di base quali rabbia, gioia, tristezza e paura, ha un profondo valore evolutivo nella storia dell’uomo ed ha avuto un ruolo fondamentale nella sua sopravvivenza.

Ekman (1992) definisce l’emozione di disgusto come “il provare una sensazione che motiva, organizza, e guida la percezione dei pensieri e delle azioni”. Nel corso dell’evoluzione, infatti, le emozioni si sono sviluppate per dare nuovi tipi di motivazione e incentivare all’azione per far fronte alle richieste dell’ambiente esterno. Inoltre l’emozione (in generale, non solo di disgusto) agisce anche da filtro sensoriale, selezionando determinate soluzioni per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Secondo la prospettiva psicoevoluzionistica, che si sviluppa a partire dagli storici lavori di Darwin, le emozioni sono strettamente associate alla realizzazione di obiettivi universali connessi alla sopravvivenza della specie. Basti pensare al ruolo dell’attivazione ansiosa nel riconoscimento del pericolo e nell’innesco di comportamenti di lotta e/o fuga.

All’interno della teoria psicoevoluzionistica inoltre le espressioni facciali emozionali sono considerate innate ed universali: ogni emozione fondamentale presenta una specifica configurazione comunicativa ed espressiva, comune a tutti gli esseri umani e solo in parte determinata dalle differenze culturali (Ekman, 1992).

L’esistenza di espressioni facciali universali sostiene la visione delle emozioni come un fenomeno psicobiologico piuttosto che come reazioni secondarie ad una valutazione cognitiva della situazione, basata sulle aspettative rispetto a ciò che si deve sentire, a sue volte influenzate dalla cultura (Schacter e Singer, 1962).

L’emozione di disgusto, la cui radice etimologica si riferisce al “cattivo gusto”, è un’emozione di base la cui funzione è quella di prevenire eventuali contaminazioni e malattie (Rozin, Haidt e McCauley, 1993; Woody e Teachman, 2000).

Darwin stesso, nel 1872, definì il disgusto come “qualcosa di nauseante in relazione primariamente al senso del gusto”, sia esperito sul momento che ricordato. Possiamo quindi definire il disgusto come una reazione emozionale di difesa finalizzata ad impedire l’assunzione di sostanze potenzialmente nocive attraverso la bocca.

Il disgusto, nella letteratura attuale, è considerato un’emozione complessa di difesa da pericoli di varia natura e non solo come una forma istintiva di rifiuto del cibo. In particolare, sono stati identificate diverse tipologie di disgusto:

  • Il core disgust (Rozin e Fallon, 1987; Haidt, McCauley e Rozin, 1994) è la tipologia che si avvicina di più al concetto psicoevoluzionistico originario riferendosi proprio all’emozione che rende l’uomo più cauto su ciò che mette in bocca, portandolo a rifiutare i cibi sulla base delle loro qualità sensoriali (ad es., sgradevolezza) e della loro storia, natura e origine (chi li ha toccati). Il core disgust infatti è una difesa orale da tre differenti domini di stimoli: cibo, animali e prodotti corporei di rifiuto (feci, urina, saliva, vomito, ecc.).
  • L’“animal reminder disgust” (Rozin, Lowery e Ebert, 1994; Rozin, Haidt e McCauley, 2000) è una difesa dal contatto e dalla vista di oggetti disgustosi. Tale forma di disgusto si è generata attraverso l’estensione del disgusto orale alle altre modalità sensoriali, quali il tatto e la vista, ed è elicitato da oggetti appartenenti ai domini dell’igiene, della morte e della violazione dell’involucro corporeo (ferite, sangue, ecc.)
  • Il “contamination disgust” (Fahs, 2011) si riferisce principalmente a reazioni di disgusto innescate da comportamenti sessuali inappropriati o anomali (sulla base di norme socio-culturali) visti o vissuti in prima persona. Questo tipo di disgusto può derivare anche dalla vista o dal contatto con fluidi corporei associabili al tema sessuale.
  • Il disgusto interpersonale (Rozin e Fallon, 1987; Haidt, McCauley e Rozin, 1994) implica il contatto, diretto o indiretto, con persone indesiderate, perché considerate sgradevoli e contaminanti. Per esempio, possono essere indesiderati i contatti fisici, la vista o l’utilizzo in comune di oggetti (vestiti, cibo) con persone malate, straniere, con una menomazione fisica, considerate inferiori o colpevoli di alcuni reati.
  • Il disgusto socio-morale (Haidt, Rozin, McCauley e Imada, 1997; Rozin, Haidt e McCauley, 2000), è elicitato da violazioni morali o sociali, che coinvolgono gesti brutali, messi in atto da persone sgradevoli e contaminanti perché inumane. Gli eventi giudicati moralmente disgustosi sono molto eterogenei, poiché risentirono fortemente delle influenze culturali di ogni popolo.

L’emozione di disgusto sembra giocare un ruolo fondamentale nella fenomenologia di molti disturbi psicopatologici riconosciuti, tra i quali alcune fobie specifiche (es. di insetti-ragni, di sangue-ferite-iniezioni), disturbi alimentari, disturbi del desiderio sessuale, disturbo ossessivo-compulsivo e più recentemente anche il disturbo da stress post-traumatico e la depressione. All’interno di questo filone di ricerche sul disgusto nella psicopatologia, un’ampia fetta di studi esplora il disgusto nella genesi e nel mantenimento del disturbo ossessivo-compulsivo da contaminazione.

L’emozione di disgusto è infatti alla base del timore di contaminazione del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e spesso i sintomi DOC si strutturano attorno sull’idea di poter diventare sporchi e disgustosi; ne derivano comportamenti di evitamento per prevenire la sensazione di disgusto oppure eventuali condotte compulsive volte ad alleviare il disagio esperito (Olatunji e Sawchuk, 2005).

Nonostante esistano ricerche che mettono in connessione il disgusto con sintomi DOC non strettamente legati al timore di contagio, quali, ad esempio, le ossessioni religiose (Olatunji et al., 2004); l’area sicuramente più indagata è quella relativa al coinvolgimento del disgusto nella contaminazione.

La contaminazione è definita come una “intensa e persistente sensazione di essere stati contagiati, infettati, o messi in pericolo dal contatto, diretto o indiretto, con una persona, luogo, oggetto percepiti come sporchi, impuri, infetti o nocivi” (Rachman, 2004).

La concettualizzazione classica del timore di contaminazione include unicamente una valutazione di minaccia o pericolo di contagio e della possibilità di ammalarsi in seguito alla contaminazione stessa (Riggs e Foa, 2007). D’altro canto molti individui con DOC da contaminazione sono spinti da emozioni di disgusto piuttosto che dalla paura di contagio (McKay, 2006).

Gli studi sul disgusto nella paura di contaminazione del DOC hanno spesso fatto ricorso al costrutto di disgust propensity, ossia la propensione di tratto ad esperire frequentemente l’emozione di disgusto (David et al., 2009).

L’associazione tra la propensione al disgusto ed i sintomi DOC da contaminazione si è rivelata altamente significativa (tra gli altri studi, Olatunji et al., 2010; Schienle et al., 2003). In effetti la propensione al disgusto sembra essere un predittore significativo sia dei sintomi ossessivi da lavaggio che, in misura minore, di quelli di controllo e ordine e simmetria (Mancini et al., 2001; Olatunji et al., 2004).

Recentemente, tra gli studi italiani di questo filone di ricerca, è stata condotta un’ indagine su campione clinico volta a valutare la relazione tra sintomi DOC, disgust propensity e trait guilt (propensione alla colpa) (Melli et al., 2015).

I risultati hanno mostrato che il costrutto della propensione al disgusto era un predittore significativo non solo dei sintomi DOC da contaminazione ma anche di quelli legati all’ordine/simmetria. Al contrario la predisposizione alla colpa prediceva maggiormente gli aspetti del DOC legati alla paura di poter causare danni a sé o a altri.

Concludendo, è indiscutibile che il disgusto, storicamente molto meno indagato di altre emozioni nel campo della psicopatologia, giochi un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi e nel mantenimento di alcuni disturbi di natura psichica. Inoltre – come già accennato – recenti dati sostengono anche un possibile ruolo predittivo della predisposizione al disgusto rispetto a peculiari sintomi del Disturbo Ossessivo-Compulsivo. All’interno di questo filone di ricerca, futuri studi dovranno chiarire ulteriormente i legami tra DOC e disgusto anche alla luce di possibili sviluppi in ambito clinico e del trattamento.

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Articolo del 28/11/2017 Contrassegnato con: disgusto, disturbi d'ansia, disturbo ossessivo compulsivo

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Claudia Carraresi

Psicologa e psicoterapeuta. Ha maturato la sua esperienza professionale nel settore psicodiagnostico all’interno di case di cura psichiatriche e Centri di salute mentale ASL. Inoltre ha seguito a lungo progetti di stampo cognitivo-comportamentale rivolti in modo specifico al trattamento del Disturbo Ossessivo-Compulsivo cronico.
Attualmente opera come psicoterapeuta presso l’ Istituto IPSICO di Firenze e presso il Centro Clinico Verdi a Prato. Si occupa primariamente di disturbi d’ansia, disturbi dello spettro ossessivo e disturbi di personalità.
Presso l’ Istituto IPSICO di Firenze si occupa anche di progetti di ricerca e divulgazione scientifica. E’ membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC) e socia ordinaria della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) e dell’Associazione EMDR Italia. Profilo linkedin

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