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ADHD negli uomini e nelle donne: il genere gioca un ruolo?

ADHD in uomini e donne: quali differenze

Introduzione

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da un pattern persistente di disattenzione, iperattività e impulsività, la cui insorgenza si colloca tipicamente nell’infanzia.

Sebbene l’ADHD sia stato storicamente considerato un disturbo prevalentemente pediatrico e maschile, negli ultimi decenni si è assistito a un crescente riconoscimento della sua persistenza in età adulta e della sua manifestazione anche nella popolazione femminile.

Numerose evidenze suggeriscono che l’ADHD permane in forma clinicamente significativa in una percentuale compresa tra il 50% e il 70% dei casi diagnosticati in età evolutiva, mentre in altri soggetti può esordire o essere riconosciuto solo in età adulta.

Questo spostamento del focus ha portato all’esigenza di una maggiore comprensione delle caratteristiche del disturbo nella popolazione adulta, anche alla luce delle differenze di genere che ne influenzano l’espressione clinica, la diagnosi e il trattamento.

ADHD in età adulta

L’ADHD in età adulta si presenta con un quadro clinico spesso meno eclatante rispetto a quello dell’età evolutiva, ma può comportare comunque un grado significativo di compromissione funzionale.

La difficoltà di riconoscimento è legata al fatto che i sintomi tendono ad assumere forme meno evidenti o vengono mascherati da strategie compensatorie apprese nel tempo.

Inoltre, la comorbidità con altri disturbi psichiatrici può oscurare la diagnosi.

Nei soggetti adulti, i sintomi principali dell’ADHD si manifestano frequentemente attraverso:

Disattenzione

  • Difficoltà a mantenere l’attenzione su compiti lunghi o ripetitivi.
  • Tendenza a commettere errori di distrazione, soprattutto in attività che richiedono precisione.
  • Dimenticanze frequenti (appuntamenti, scadenze, oggetti personali).
  • Scarsa organizzazione e gestione del tempo.
  • Difficoltà a completare attività complesse o che richiedano una pianificazione sequenziale.
  • Evitamento o procrastinazione di compiti impegnativi mentalmente.

Iperattività e impulsività

  • Irrequietezza interna, sensazione costante di tensione o agitazione.
  • Difficoltà a rimanere seduti a lungo o rilassarsi.
  • Interruzione frequente delle conversazioni altrui.
  • Impazienza marcata e difficoltà ad attendere il proprio turno.
  • Decisioni impulsive, talvolta con conseguenze negative (es. acquisti non ponderati, cambi lavorativi improvvisi).

Disregolazione emotiva

  • Sbalzi d’umore rapidi e reazioni emotive sproporzionate.
  • Frustrazione intensa per piccoli ostacoli.
  • Sensibilità al rifiuto e alla critica.

Queste manifestazioni possono compromettere significativamente:

  • Le relazioni interpersonali e familiari.
  • La stabilità lavorativa e il rendimento professionale.
  • La gestione della quotidianità (finanze, salute, responsabilità).

Influenza del genere sulla presentazione sintomatologica

Le manifestazioni cliniche dell’ADHD in età adulta possono però variare significativamente in base al genere, influenzando sia la presentazione dei sintomi sia la probabilità di ricevere una diagnosi accurata.

Le donne tendono a ricevere una diagnosi più tardiva rispetto agli uomini, spesso solo in età adulta o in seguito alla diagnosi dei propri figli. Ciò è dovuto sia a differenze reali nella sintomatologia, sia alla persistenza di stereotipi culturali.

Sintomi più frequentemente osservati negli uomini adulti

  • Maggiore presenza di iperattività e impulsività.
  • Tendenza a manifestazioni esternalizzanti (comportamenti disorganizzati, esplosivi, oppositivi).
  • Maggiore coinvolgimento in comportamenti a rischio (abuso di sostanze, guida pericolosa, attività illegali, spese finanziarie eccessive).
  • Più frequente instabilità lavorativa e cambi frequenti di impiego.
  • Disturbi della condotta e problematiche comportamentali.

Sintomi più frequentemente osservati nelle donne adulte

  • Predominanza della disattenzione rispetto all’iperattività.
  • Elevata disregolazione emotiva: ansia, umore fluttuante, sensibilità al rifiuto.
  • Comportamenti più internalizzanti: bassa autostima, senso di inadeguatezza, perfezionismo disfunzionale.
  • Maggiore probabilità di comorbidità con altri disturbi psichiatrici: ansia, depressione, disturbo bipolare, disturbi del comportamento alimentare.
  • Maggiori difficoltà nell’organizzazione e gestione del tempo.
  • Tendenza a mascherare i sintomi e a interiorizzare il disagio per adeguarsi alle aspettative sociali.

Fattori che contribuiscono a diagnosi più precoci negli uomini

  • I sintomi sono più “esternalizzanti” e quindi tendono ad essere più facilmente identificabili già nell’infanzia, portando a diagnosi più precoci.

Fattori che contribuiscono alla sottodiagnosi nelle donne

  • Tendono a mostrare sintomi più “internalizzanti” e meno evidenti, come disattenzione, difficoltà organizzative, irrequietezza interiore.
  • Spesso sviluppano strategie di “masking” per nascondere le loro difficoltà, rendendo più difficile il riconoscimento dell’ADHD.
  • Questi sintomi possono essere scambiati per ansia, depressione o semplicemente tratti caratteriali, portando a diagnosi tardive o mancate.
  • Distorsione della valutazione clinica perché i criteri diagnostici sono costruiti su modelli maschili
  • Comorbidità prevalenti che oscurano l’ADHD sottostante

Conseguenze cliniche e sociali

  • La diagnosi tardiva nelle femmine può portare a un accumulo di stress e difficoltà scolastiche o lavorative non riconosciute. Quando finalmente diagnosticato, l’ADHD nelle femmine è spesso più grave a causa del ritardo nell’intervento.
  • Difficoltà nel costruire percorsi terapeutici personalizzati

Il trattamento dell’ADHD: verso un approccio clinico sensibile alle differenze di genere

Il trattamento in età adulta richiede solitamente un approccio multimodale, che può includere:

  • Farmaci stimolanti (es. metilfenidato, lisdexamfetamina) o non stimolanti (es. atomoxetina, guanfacina).
  • Interventi psicoterapici, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale.
  • Psicoeducazione: fornire informazioni chiare sul disturbo ai pazienti, genitori e partner. Ciò è fondamentale per migliorare la consapevolezza e l’adesione al trattamento.

L’approccio clinico-trattamentale sensibile alle differenze di genere nella terapia dell’ADHD è un tema sempre più rilevante nella medicina moderna. Ecco alcuni elementi chiave.

Farmacoterapia

I farmaci stimolanti come il metilfenidato sono più comunemente usati negli uomini. Le femmine tendono a rispondere in modo diverso ai farmaci stimolanti rispetto ai maschi.

In particolare, le femmine possono mostrare una risposta più lenta ed una maggiore sensibilità agli effetti collaterali come l’insonnia, la perdita di appetito o l’irritabilità. Questo potrebbe derivare da differenze biologiche, come livelli ormonali che influenzano la metabolizzazione dei farmaci.

Le fluttuazioni ormonali, in particolare i livelli di estrogeni e progesterone, possono avere un impatto significativo sui sintomi dell’ADHD nelle donne. Bassi livelli di estrogeni, come quelli che si verificano nella fase premestruale, nel periodo post-parto e durante la menopausa, possono esacerbare i sintomi dell’ADHD come la difficoltà di concentrazione, la disregolazione emotiva e la stanchezza.

Comprendere l’interazione tra gli ormoni e l’ADHD è fondamentale per personalizzare il trattamento. In alcuni casi, potrebbe essere utile monitorare i sintomi in relazione al ciclo mestruale e considerare aggiustamenti farmacologici o strategie di supporto aggiuntive durante le fasi più critiche.

La terapia ormonale sostitutiva (TOS) in perimenopausa o menopausa potrebbe, in alcuni casi, avere un effetto positivo sui sintomi dell’ADHD, ma è necessario un’attenta valutazione medica.

La Terapia cognitivo-comportamentale (CBT)

La CBT è un trattamento di riferimento per l’ADHD, particolarmente efficace per migliorare la gestione dei sintomi.

L’approccio dovrebbe essere adattato al sesso e alle esigenze specifiche del paziente.

Per i maschi: Gli uomini con ADHD potrebbero beneficiare maggiormente di un approccio più orientato alla gestione dei comportamenti. La CBT per i maschi dovrebbe concentrarsi su strategie pratiche per migliorare la gestione del tempo, la concentrazione e l’impulsività.

Per le femmine: Le donne con ADHD, che spesso presentano anche sintomi di ansia e bassa autostima, potrebbero beneficiare di una CBT integrata, che non solo affronta i sintomi dell’ADHD ma anche problemi emozionali.

Mindfulness e tecniche di rilassamento

Le donne con ADHD spesso sperimentano livelli elevati di ansia e stress. La mindfulness e la meditazione possono migliorare la concentrazione e ridurre l’impulsività.

Supporto psicologico e gruppi di sostegno

Condividere esperienze con altre donne con ADHD può essere utile per sviluppare strategie pratiche e sentirsi meno sole nella gestione della condizione.

In conclusione

Le evidenze emerse sottolineano la necessità di superare un modello clinico uniforme e neutro.

Un approccio clinico moderno all’ADHD adulto dovrebbe:

  • Utilizzare criteri diagnostici più inclusivi che tengano conto della varietà di presentazioni sintomatologiche.
  • Incoraggiare la ricerca futura per comprendere meglio le basi neurobiologiche e ormonali delle differenze di genere nell’ADHD e come queste influenzano la risposta al trattamento.
  • Promuovere un approccio terapeutico personalizzato e sensibile al genere che riconosca le esigenze uniche di uomini e donne con ADHD.

Bibliografia

  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.
  • Faraone, S. V., et al. (2021). Attention-deficit/hyperactivity disorder. Nature Reviews Disease Primers, 7(1), 1–21.
  • Quinn, P. O., & Madhoo, M. (2014). A review of ADHD in women and girls. The Primary Care Companion for CNS Disorders, 16(3).
  • Rucklidge, J. J. (2010). Gender differences in ADHD. Psychiatric Clinics of North America, 33(2), 357–373.
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  • Mowlem F, et al. (2019). Sex differences in predicting ADHD clinical diagnosis and pharmacological treatment.

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Autore dell’articolo

Dott. Andrea Vannini

Neuropsichiatra. Ha prestato la propria opera professionale per molti anni presso Casa di Cura privata convenzionata operante nel settore neuropsichiatrico, acquisendo particolare competenza nell'Unità di Cura del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Già medico nei Servizi di Salute Mentale dell'Azienda Sanitaria di Firenze. Attualmente impegnato anche nell'area dei Disturbi della Spettro Autistico. Opera come consulente neuropsichiatra presso l'istituto IPSICO di Firenze.

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