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Ansia sociale e terapia cognitivo comportamentale

Ansia sociale

In una recente review, McGuinn e Newmann (2013) hanno provato a fare il punto circa le attuali conoscenze sull’ansia sociale, sull’incidenza epidemiologica e su quali trattamenti risultino efficaci.

La fobia sociale, come ormai noto, risulta essere il disturbo d’ansia più diffuso, con una prevalenza, nei paesi occidentali, compresa tra il 3% e il 14%. Sembra essere più frequente, seppur non in modo rilevante, tra le donne e esordire tipicamente durante l’infanzia o la pubertà e raramente dopo i 25 anni.

L’approccio cognitivo comportamentale ha proposto modelli esplicativi e di trattamento che hanno dimostrato la loro efficacia in diversi studi scientifici, portando alla conclusione che tale modello di trattamento sia il più indicato per questi pazienti.

In particolare, sembra che la ristrutturazione cognitiva e l’esposizione graduale in vivo si siano dimostrate le tecniche d’intervento più efficaci per l’ansia sociale.

Come noto, il modello cognitivo comportamentale standard si caratterizza per essere focalizzato sul qui e ora e cerca di intervenire nel presente, senza dare un peso fondamentale all’anamnesi del paziente e a come si sono sviluppate le credenze patogene di base che mantengono la fobia sociale.

Alcuni studi hanno tuttavia mostrato i limiti dell’efficacia del modello standard e suggerito lo sviluppo di nuove tecniche di intervento.

Da qualche anno, ad esempio, sta fiorendo un filone di ricerca e di pratica clinica particolarmente attento al lavoro sulle immagini mentali (la cosiddetta imagery), a come queste immagini siano legate a episodi negativi accaduti nel passato, nonché alle possibili tecniche di intervento derivate per il trattamento dell’ansia sociale.

In un articolo appena pubblicato su Behavior Research and Therapy dal titolo “Imagery-enhanced cognitive behavioural group therapy for social anxiety disorder: A pilot study”, McEvoy e Saulsman propongono un modello di terapia cognitiva di gruppo per l’ansia sociale potenziata proprio da tecniche di questo tipo.

Gli autori, nell’introduzione dell’articolo, illustrano come la mente del paziente con fobia sociale sia particolarmente affollata da immagini negative su di sé e sulle proprie azioni e come tali immagini, oltre ad essere ansiogene, appaiano direttamente collegate ad esperienze negative e potenzialmente traumatiche vissute dal soggetto durante il periodo di insorgenza della fobia sociale, solitamente durante l’infanzia.

Questo tipo di scoperte, supportate da ormai molta letteratura, ha portato all’utilizzo di tecniche che mirano al lavoro sulle immagini mentali, come ad esempio l’imagery rescripting, che sembrano essere molto proficue e utili nel lavoro con il paziente con fobia sociale e con altri disturbi.

Nella loro ricerca, dunque, gli autori hanno testato un protocollo di terapia di gruppo potenziato da tecniche imagery-based per comprendere se questo tipo di intervento fosse accettabile e fruibile per i pazienti, quale tipo di effetto avesse sui sintomi e sull’ansia da performance e se avesse un efficacia maggiore rispetto alla terapia cognitiva standard per la fobia sociale.

Nell’articolo, correttamente, gli autori illustrano il protocollo, descrivendo l’ordine del giorno delle 12 sedute che costituiscono il trattamento.

I risultati sembrano sostanzialmente supportare le ipotesi iniziali. Il 95% dei soggetti del gruppo sperimentale ha completato il percorso di trattamento, mostrando buoni risultati soprattutto per quanto riguarda l’interazione sociale, meno per l’ansia da performance.

La comparazione con la CBT standard ha dimostrato come il protocollo imagery-based sia significativamente superiore per quanto riguarda l’interazione sociale, è di poco superiore, ma in modo non statisticamente significativo, per quando riguarda l’ansia da performance.

Lo studio comunque presenta alcune limitazioni, come la numerosità esigua del campione (n=19) e la modalità di comparazione tra i due protocolli: infatti i pazienti con fobia sociale del gruppo sperimentale sono stati paragonati a pazienti già trattati precedentemente (94 soggetti con protocollo di terapia cognitiva standard) presso la stessa clinica.

Questo ovviamente è uno studio pilota, che necessiterà di ulteriori verifiche con campioni più grandi, ma sembra comunque tracciare una promettente nuova strada da percorrere, soprattutto per i pazienti con ansia sociale resistenti alla CBT standard.

Bibliografia

1. McEvoy, P.M., Saulsman, L.M., Imagery-Enhanced Cognitive Behavioural Group Therapy for Social Anxiety Disorder:A Pilot Study, Behaviour Research and Therapy (2014), doi: 10.1016/j.brat.2014.01.006.
2. McGinn L.K., Newmann M.G., Status update on social anxiety disorder, International Journal of Cognitive Therapy, 6(2), 88–113, 2013

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Contrassegnato con: ansia sociale, disturbi d'ansia, psicoterapia cognitivo comportamentale

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Autore dell’articolo

Dott. Nicola Marsigli

Psicologo e psicoterapeuta cognitivo comportamentale dal 2001; lavora presso l’Istituto IPSICO di Firenze, di cui è Segretario e Direttore Didattico; Socio fondatore dell’Associazione Italiana per i Disturbi dell’Ansia Sociale (AIDAS), di cui è attuale tesoriere; Socio fondatore della Compassionate Mind Italia; Direttore del CEDAS (Centro d’Eccellenza per i Disturbi dell’Ansia Sociale) di Firenze; Pratictioner EMDR; attualmente in valutazione per la Certificazione come terapeuta Schema Therapy; Si occupa da anni del trattamento dei disturbi dello spettro ansioso sociale; ha pubblicato numerosi articoli scientifici e diversi libri sull’argomento, tra i quali il recente “Stop all’ansia sociale”, edito da Erickson. Profilo linkedin

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