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Come aiutare una persona anoressica

come aiutare una persona anoressica

Il 90-95% delle persone affette da anoressia nervosa sono di sesso femminile e l’età di esordio del disturbo è compresa tra i 12 e i 25 anni, con un picco tra i 14 e i 18.

Negli anni sessanta, l’anoressia era più frequente nelle classi sociali agiate.

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Attualmente è distribuita in modo omogeneo nella popolazione e spesso si riscontra un’insorgenza più precoce (anche prima dei 12 anni).

Una persona che è affetta a anoressia nervosa manifesta tre caratteristiche principali:

  • Sottopeso (indice di massa corporea al di sotto di 18,5) in conseguenza ad una restrizione dell’apporto energetico rispetto alle necessità fisiologiche della persona;
  • Paura di ingrassare anche se si è sottopeso;
  • Eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo. Valuta cioè se stessa prevalentemente in base al numero che appare sulla bilancia e alle proprie forme del corpo. Il proprio senso di autocontrollo, di fiducia e di autostima dipende quasi interamente dal peso e dalla forma del proprio corpo.

Nelle persone più giovani che presentano anoressia nervosa, è frequente anche il rifiuto ad ammettere la gravità della condizione del sottopeso.

Questo rende molto complicato stare accanto a loro, soprattutto se si tratta di una persona a noi vicina.

Cosa possiamo fare per essere d’aiuto a una persona anoressica?

Se pensiamo che una nostra amica soffra di un disturbo dell’alimentazione ma non sta affrontando in nessun modo le sue difficoltà, è importante riuscire a convincerla a prendere più informazioni sul suo problema. È suo diritto decidere se curarsi oppure no, ma per farlo in modo consapevole è necessario avere più conoscenze sul disturbo alimentare e sui meccanismi.

Riuscire a convincere un’amica anoressica a rivolgersi ad uno psicoterapeuta anche solo per avere più informazioni rispetto al problema alimentare, non è semplice. Usare gentilezza e sensibilità è il segreto per avvicinarsi al dolore spesso celato, di chi ha un disturbo alimentare come l’anoressia. Non dimentichiamo, infatti, che spesso le persone si vergognano dei propri comportamenti. Proprio per questo è necessario scegliere un momento privato nel quale con gentilezza e sensibilità, confidare le nostre preoccupazioni rispetto al problema alimentare.

Se invece si è genitori di una ragazza che soffre di anoressia nervosa, ripetere costantemente ad ogni pasto “devi mangiare!” oppure “finisci quello che hai nel piatto!” purtroppo non serve a molto.

Quello che accade alla propria figlia/o non è una scelta personale o una mancanza di volontà, ma è il frutto di una malattia (che ha il nome di anoressia nervosa).

Questa  ha dei meccanismi specifici e risponde a specifiche cure che vanno ad agire direttamente su tali meccanismi. Ogni genitore dovrebbe riflettere se nei confronti della figlia con anoressia nervosa adotta lo stesso atteggiamento che terrebbe se la figlia soffrisse di una grave patologia biologica.

Il sistema di accudimento, attiva protezione verso la propria prole e attacco verso ogni minaccia esterna alla sua sopravvivenza o salute. Nel caso dell’anoressia nervosa, protezione e attacco sono rivolti entrambi verso il figlio/a. Manca infatti la minaccia esterna che viene identificata nella persona stessa da difendere. Questo porta spesso i genitori a provare rabbia nei confronti della propria figlia/o e a essere critici verso alcuni comportamenti disfunzionali messi in atto.

Nella maggior parte dei casi, un atteggiamento di critica e un’elevata emotività espressa porta a sviluppare un clima familiare disfunzionale. Questo può aggravare o mantenere il disturbo dell’alimentazione.

È importante comprendere che una persona anoressica ha uno scarso controllo sulla sua malattia e che deve essere aiutato per riuscire a sconfiggerla. Sconfiggere l’anoressia nervosa, non significa combattere contro la propria figlia/o, ma contro la malattia e i meccanismi che la sovrastano.

La ricerca ha evidenziato che l’atteggiamento più utile da adottare e terapeuticamente essenziale, è un’attitudine di accettazione della propria figlia, non criticando il suo comportamento alimentare (Dalle Grave, 2014). È importante inoltre, cercare di convincerla/o a iniziare un trattamento specialistico. I disturbi dell’alimentazione nell’adolescenza hanno infatti una prognosi buona, ma sono associati a gravi complicanze mediche e psicosociali se non affrontati nel breve tempo.

La CBT-E (Cognitive Behavioural Therapy- Enanched) è una forma specifica di terapia cognitivo comportamentale sviluppata dal Centre for Research on Eating Disorder di Oxford. E’ scientificamente validata per affrontare i processi cognitivi e comportamentali di mantenimento della psicopatologia che operano nel paziente affetto da disturbi dell’alimentazione.

Nel caso degli adolescenti, pur rimanendo una terapia individuale, flessibile e personalizzata, la CBT-E prevede un coinvolgimento dei genitori ai quali vengono fornite indicazioni su come assistere il proprio figlio/a durante i pasti e degli strumenti al fine di ridurre il livello di emotività negativa e il livello di critica.

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Contrassegnato con: anoressia, disturbi alimentari

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Elena Lazzeri

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Ha conseguito il master in terapia e prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità ed è socio ordinario dell’Associazione Italiana Disturbi dell’alimentazione e del peso (AIDAP). Opera come psicoterapeuta presso l’Istituto Ipsico e presso i suoi studi professionali di Poggibonsi e Colle di Val d’Elsa, occupandosi principalmente di disturbi dell’alimentazione e disturbi del sonno. Profilo linkedin

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