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Depersonalizzazione e derealizzazione: sintomi dissociativi

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Nell’attuale Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, APA 2013), il Disturbo di Depersonalizzazione e Derealizzazione (DDD) è inserito all’interno dei Disturbi Dissociativi. Consiste in uno stato alterato di consapevolezza del Sé che risulta in episodi persistenti o ricorrenti di distacco o separazione da se stessi (depersonalizzazione), dall’ambiente circostante (derealizzazione) o entrambe, durante i quali l’esame di realtà rimane integro.

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Considerando la stima di prevalenza lifetime approssimativamente del 2% della popolazione mondiale (Sierra, 2009), rappresenta senza alcun dubbio una condizione clinica di una certa rilevanza. Ciononostante, la maggior parte degli psichiatri crede che depersonalizzazione e derealizzazione siano qualcosa di estremamente raro o addirittura non esistente (Sierra, 2009). Questo può essere anche ascrivibile alla formazione insufficiente che i clinici ricevono sulla valutazione dei Disturbi Dissociativi.

Del resto è importante ricordare che la psicopatologia dissociativa è una psicopatologia nascosta (Kluft, 2009). Solitamente il paziente giunge alla consultazione psicologica con altre problematiche (per esempio, disturbo di panico, disturbo da stress post-traumatico, depressione maggiore, solo per indicarne alcune) e così certi sintomi possono essere occultati o minimizzati (Gonzalez, 2013). Inoltre, la caratteristica soggettiva in base alla quale le persone si sentono estraniate e separate dal proprio Sé (depersonalizzazione) e da ciò che li circonda (derealizzazione) rende complessa la rilevazione. Il loro comportamento potrebbe apparire strano ma non ci sono comportamenti specifici che porterebbero un osservatore esterno a sospettare di questo disturbo semplicemente osservando le persone o interagendo con loro.

Dissociazione, depersonalizzazione e derealizzazione

In riferimento alla sintomatologia dissociativa, Holmes et al. (2005) hanno suggerito di distinguerla in due grandi categorie: distacco e compartimentazione. I sintomi di compartimentazione hanno a che fare con la disintegrazione delle funzioni mentali superiori indotta dall’evento traumatico. Quindi per esempio riguardano l’amnesia dissociativa (vale a dire l’incapacità di ricordare importanti informazioni autobiografiche). I sintomi dissociativi di distacco rimandano invece tutti all’esperienza di sentirsi alienati dalle proprie emozioni, dal proprio corpo, dal senso usuale della propria identità (Liotti e Farina, 2011).

I sintomi dissociativi di distacco comprendono proprio la depersonalizzazione e la derealizzazione.

Sintomi dissociativi di distacco

  • Per depersonalizzazione s’intende un’esperienza soggettiva di irrealtà, di distacco o estraneità dalla propria identità, dai propri pensieri, sensazioni, emozioni, oltre che dal proprio corpo. Induce sensazioni disturbanti che includono un senso di non esistenza, di sentirsi fuori dal proprio corpo, come un osservatore esterno di se stesso (Sierra, 2009). La depersonalizzazione è associata a una diminuzione o perdita di reattività emotiva, come una sorta di intorpidimento fisico ed emotivo (APA, 2013). Questa condizione di ottundimento emotivo può andare da forme relativamente sopportabili che i pazienti descrivono come sentirsi ‘distanti dalle cose’, o poco coinvolti emotivamente, fino a forme estreme di totale annichilimento e di morte interiore. Le persone riferiscono di provare una strana sensazione di disconnessione dal proprio corpo, un qualcosa di mai provato prima: si sentono come se stessero vivendo un’esperienza extracorporea, di totale distacco, come se fossero in un sogno o si guardassero all’interno di un film. La persona può sentirsi distaccata dal proprio intero essere (“Non sono nessuno”), così come da aspetti del proprio Sé, quali sentimenti (“So di avere emozioni ma non le sento”), pensieri (“I miei pensieri non sembrano miei”), corpo o parti del corpo (“Mi guardo allo specchio e non mi riconosco”).
  • La derealizzazione ha caratteristiche simili alla depersonalizzazione ma si riferisce alla sensazione di irrealtà, di distacco o estraneità nei confronti del mondo, sia esso rappresentato da persone, oggetti inanimati o tutto l’ambiente circostante. La persona può sentirsi come se si trovasse nella nebbia, o come se ci fosse un velo o una parete di vetro tra Sé e il mondo circostante. In questo stato si ha la sensazione di essere separati dal mondo esterno al punto che questo può apparire distorto e irreale, non riconoscibile: gli oggetti possono risultare di forme e dimensioni diverse, cambia la percezione del tempo come se scorresse troppo velocemente o troppo lentamente; i suoni possono risultare più forti o più deboli del previsto. Emergono delle alterazioni percettive come se non si avesse familiarità con la realtà circostante che può apparire piatta, senza colore, senza vita.

Da fenomeno normale a disturbo mentale

La depersonalizzazione e la derealizzazione possono essere fenomeni transitori e comuni nella popolazione generale (tra gli altri, Seth, Suzuki & Critchley, 2012). Possono emergere occasionalmente come effetti collaterali di farmaci o del consumo di droghe, in particolare la cannabis (Madden & Einhorn, 2018).

Anche eventi gravi, come la morte inaspettata di una persona cara, un grave incidente stradale, o qualsivoglia evento traumatico (vale a dire un evento che sovrasti la capacità di resistenza dell’individuo), possono comportare una risposta che includa depersonalizzazione e derealizzazione. Queste risposte, di per sé, non sono necessariamente anormali o inusuali in situazioni di una certa gravità; piuttosto si tratta di reazioni normali di persone normali a eventi anormali. Basti pensare a ciò che si potrebbe provare assistendo a un terribile incidente stradale o nel ricevere una notizia devastante. È ormai acclarato che vi è una prima fase di shock in cui si prova un senso di confusione, di estraneità, di irrealtà, di disorientamento, come se quanto stiamo vivendo non fosse reale, come se si trattasse di un sogno o comunque di qualcosa vissuto da una prospettiva esterna a noi stessi. La sensazione di non essere connesso al proprio corpo o alla realtà circostante in quel momento dunque è una reazione fisiologica acuta allo stress utile a mantenere un certo distacco dall’evento, come ad attutirne un impatto che altrimenti risulterebbe soverchiante.

Questa considerazione apre alla riflessione a se i sintomi dissociativi di distacco rappresentino un meccanismo di difesa del cervello dal dolore mentale evocato dall’evento traumatico o se piuttosto, riprendendo l’idea di Janet (1907), i sintomi dissociativi non siano altro che la conseguenza devastante (désagrégation) della dissoluzione delle funzioni della coscienza indotta dalle emozioni veementi del trauma.

In ogni caso, indipendentemente dalla spiegazione del fenomeno dissociativo, la risposta dell’individuo diventa patologica quando i sintomi di depersonalizzazione-derealizzazione o si generalizzano ad altre situazioni, manifestandosi in modo incontrollabile, o persistono oltre la minaccia immediata. Di qui l’emergere del DDD.

Le cause del disturbo di depersonalizzazione-derealizzazione

Come nel caso degli altri Disturbi Dissociativi, il DDD risulta perlopiù essere la conseguenza di aver vissuto esperienze traumatiche multiple e/o croniche, protratte nel tempo, in ampi archi di tempo dello sviluppo individuale (van der Kolk, 2005). È importante sottolineare che per esperienze traumatiche si intende non solo la traumatizzazione in termini di abusi fisici, emotivi e sessuali ma anche la condizione di trascuratezza genitoriale (neglect).

Come detto in precedenza, il criterio principale del DDD consiste in episodi persistenti o ricorrenti in cui la persona sperimenta un senso di irrealtà e un profondo distacco da Sé e dal mondo circostante, al punto da percepirsi come un osservatore esterno, un automa, dentro a un sogno.

La sensazione di distacco associata con la depersonalizzazione e derealizzazione è simile al guardare gli eventi e le attività come se si stessero svolgendo in un film o in uno schermo del computer. Tuttavia, in ogni momento, la persona resta consapevole sia dei propri pensieri che di ciò che sta accadendo intorno. A differenza dei disturbi psicotici, infatti, i pazienti con DDD sono generalmente consapevoli che la loro percezione è alterata e che le loro esperienze di distacco non sono reali. Essendo però queste sensazioni molto intense e tali da generare confusione, i pazienti con DDD possono temere il rischio di impazzire quando vivono le sensazioni di distacco proprie della depersonalizzazione/derealizzazione. A tal proposito può succedere che i sintomi di depersonalizzazione/derealizzazione fungano da innesco a un attacco di panico in cui la persona interpreta i sintomi di irrealtà e di distacco come segno di una minaccia alla propria incolumità cognitiva (per esempio, la paura di impazzire). Questi episodi persistenti e ricorrenti di estraneità possono causare estremo disagio e rendere difficile il normale funzionamento quotidiano al lavoro, a scuola o in un contesto sociale.

Cura dei disturbi di depersonalizzazione e derealizzazione

Somer, Amos-Williams & Stein (2013), analizzando tutti i trial controllati e randomizzati di farmacoterapia e psicoterapia per il trattamento del Disturbo di Depersonalizzazione-Derealizzazione, hanno mostrato evidenze incoerenti per l’efficacia farmacologica e nessuna efficacia per gli altri interventi.

Dal punto di vista farmacologico, la maggior parte dei farmaci prescritti a pazienti con DDD cade nelle categorie di antidepressivi e ansiolitici e sono somministrate principalmente allo scopo di alleviare i sintomi d’ansia e dell’umore in comorbidità, ma non sembrano trattare la patologia dissociativa. Ad oggi, infatti, nonostante che la letteratura includa alcuni trial sulla somministrazione di clomipramina, inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), e la lamotrigina (Somer et al., 2013), nessun trattamento farmacologico è stato trovato ridurre di per sé la dissociazione.

A livello psicoterapeutico, il modello di trattamento standard, ormai ampiamente riconosciuto per i Disturbi Dissociativi, è il cosiddetto modello orientato per fasi (van der Hart, Nijenhuis & Steele, 2011) strutturato in 3 fasi:

  1. La prima fase è la cosiddetta stabilizzazione e riduzione dei sintomi. In questa fase il compito principale della terapia è quello di ottenere condizioni di sicurezza per il paziente sia all’interno della relazione terapeutica, sia all’esterno della terapia con la stabilizzazione dei sintomi più invalidanti (per esempio, sintomi di distacco dissociativo, atti impulsivi e comportamenti a rischio, emozioni disregolate). In questa fase diviene centrale l’obiettivo di aiutare la persona a gestire la sintomatologia dissociativa grazie a esercizi di stabilizzazione emotiva, alla creazione di abilità e di incremento di esperienze ed emozioni positive nella vita del paziente, oltre al grounding (ancoraggio al momento presente) utile a permettere una forma di radicamento alla realtà. Per esempio, stimolare riflessi di orientamento nel presente passandosi un oggetto (per esempio, una palla di peluche) oppure chiedere di descrivere alcuni elementi dell’ambiente circostante aiuta la persona a sentirsi maggiormente in contatto con la realtà.
  2. La seconda fase prevede l’elaborazione dei ricordi traumatici alla base del Disturbo di Depersonalizzazione-Derealizzazione. Un approccio efficace al lavoro di desensibilizzazione e rielaborazione degli eventi traumatici è l’Eye Movementt Desensitization and Reprocessing (EMDR, Shapiro 2001).
  3. La terza fase prevede infine l’integrazione della personalità, vale a dire il consolidamento delle risorse e di ciò che la persona ha realizzato nelle fasi precedenti fino al raggiungimento di un senso di Sé unificato.

Questo percorso a fasi successive quasi mai segue un andamento lineare. Più spesso è stato descritto con la forma di una spirale, in cui è necessario ripercorrere circolarmente le fasi precedenti.

Ovviamente, la buona riuscita di ogni intervento di psicoterapia passa attraverso una valutazione accurata della specificità clinica e la scelta di interventi che possano essere più indicati per quella persona in quel momento.

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BIBLIOGRAFIA

  • American Psychiatric Association (APA) (2013). DSM-5. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
  • Gonzalez (2013). I disturbi dissociativi. Diagnosi e trattamento. Giovanni Fioriti Editore.
  • Holmes, E. A., Brown, R. J., Mansell, W., Fearon, R. P., Hunter, E. C., Frasquilho, F., & Oakley, D. A. (2005). Are there two qualitatively distinct forms of dissociation? A review and some clinical implications. Clinical Psychology Review, 25(1), 1-23.
  • Janet, P. (1907). The Major Symptoms of Hysteria. Macmillan, London/New York.
  • Liotti e Farina (2011). Sviluppi traumatici. Raffaello Cortina Editore.
  • Madden S. P., & Einhorn, P. M. (2018). Cannabis-induced Depersonalization-Derealization Disorder. The American Journal of Psychiatry Residents Journal, pp.3-6.
  • Seth, A. K., Suzuki, K., & Critchley, H. D. (2012). An interoceptive predictive coding model of conscious presence. Frontiers in Psychology, 2 (395), 1-16.
  • Shapiro, F. (2001).  Eye movement desensitization and reprocessing (EMDR): basic principles, protocols and procedures. 2nd ed. New York, NY: The Guilford Press.
  • Sierra, M. (2009). In Depersonalization: A new look at a neglected syndrome. Cambridge, UK: Cambridge University.
  • Somer, E., Amos-Williams, T., & Stein, D. J. (2013). Evidence-based treatment for Depersonalisation-derealisation Disorder (DPRD). BMC Psychology, 1:20.
  • van der Hart, Nijenhuis, & Steeele (2011). Fantasmi nel Sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Raffaello Cortina Editore.
  • van der Kolk, B. A. (2005). Developmental Trauma Disorder: Toward a rational diagnosis for children with complex trauma histories. Psychiatric Annals, 35(5), 401-408.

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Articolo del 24/12/2018 Contrassegnato con: dissociazione, post traumatico, trauma

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Autore dell’articolo

Dott. Francesco Bulli

Psicologo e Psicoterapeuta. Svolge attività clinica libero-professionale presso l’Istituto IPSICO di Firenze. Psicologo all’interno del progetto ANIA Cares, pronto soccorso psicologico rivolto alle vittime di incidenti stradali e ai loro familiari. Socio ordinario di CBT-Italia, dell’Associazione EMDR Italia e dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC). Si occupa di psicotraumatologia e disturbi dissociativi, oltre che di disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi della personalità. Curatore del volume “Mindfulness & Acceptance in Psicoterapia. La terza generazione della Terapia Cognitivo-Comportamentale”. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali nel campo della psicologia clinica, della psicologia sperimentale, della psiconcologia, oltre che delle cure palliative. Profilo linkedin

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