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Un esame del sangue per la depressione

Depressione

Il primo test di laboratorio capace di diagnosticare la depressione negli adulti tramite un esame del sangue è stato recentemente messo a punto da un gruppo di studiosi della prestigiosa università Northwestern di Chicago.

Si tratta di una scoperta del tutto innovativa nell’ambito della diagnosi della depressione, fino ad oggi basata esclusivamente su metodiche non oggettive e consistenti nella valutazione di sintomi aspecifici (come l’abbassamento del tono dell’umore, la sensazione di stanchezza o le variazioni dell’appetito) che si possono riscontrare anche in un gran numero di altre malattie, sia mentali che fisiche.

Ad aumentare ancora il problema della scarsa oggettività nella diagnosi di depressione influiscono poi anche altre variabili, quali la capacità del paziente nel riferire i propri vissuti interiori (solitamente ridotta in questa patologia) e la maggiore o minore abilità del medico nel comprenderli e interpretarli.

Sulla base di queste considerazioni, si può capire come gli sforzi degli studiosi si siano indirizzati, ormai da molti anni, nella messa a punto di sistemi diagnostici più idonei e appropriati, orientati all’ individuazione nel sangue di “marcatori” della depressione, il cui riscontro possa rendere questa diagnosi più oggettiva e specifica.

La depressione, nella forma definita “Maggiore”, è una malattia psichiatrica che colpisce il 6,7% della popolazione adulta degli Stati Uniti nel corso di un anno, con tassi di incidenza in costante aumento; per di più, vari studi concordano nel fatto che solitamente si verifica un ritardo nella formulazione della diagnosi che può andare da 2 a 40 mesi, con la conseguenza evidente di differire l’inizio delle cure.

La possibilità quindi di disporre di una diagnosi su base “biologica” può ridurre nettamente queste tempistiche con ricadute positive sull’efficacia delle stesse terapie.

L’ equipe di scienziati di Chicago, guidata da David Mohr ed Eva Redei, sembra aver aperto nuove prospettive in questo senso, con l’identificazione nel sangue di nove tipi di RNA messaggero (molecole cioè che hanno la funzione di trasportare alle cellule le informazioni prelevate nel patrimonio genetico), che, nei pazienti affetti da depressione, presentano concentrazioni significativamente più basse rispetto alle persone sane.

A controprova di questa scoperta, gli autori del lavoro riportano un dato altrettanto significativo, consistente nel fatto che i livelli nel sangue di questi marcatori tendono a tornare nuovamente normali in quei pazienti che sono stati sottoposti ad un trattamento psicoterapeutico cognitivo comportamentale per 18 settimane e da cui sia derivato un evidente miglioramento della depressione, potendosi così stabilire un parallelismo tra dati “di laboratorio” e valutazione clinica.

Un’altra interessante ricaduta positiva derivante dall’analisi dei dati di questo studio è la possibilità di utilizzare, per la prima volta, un esame del sangue per determinare quali trattamenti saranno più utili per i singoli pazienti, dal momento che uno specifico assetto di questi marcatori, rilevato prima dell’inizio della cura, è in grado di predire se il paziente potrà trarre giovamento dalla psicoterapia cognitivo comportamentale.

È stato infine riscontrato che la concentrazione del sangue di tre di questi marcatori rimane costantemente più bassa, nei pazienti affetti da depressione, anche quando tali pazienti hanno riportato buona efficacia dalle cure antidepressive, come se ciò fosse indicativo della presenza di un’alterazione cronica di tali marcatori che potrebbe configurare la prova biologica di uno stato di “vulnerabilità” alla depressione.

Questo ultimo dato apre nuove prospettive nel monitoraggio di persone che risultano, in base a questi riscontri di laboratorio, più suscettibili alle ricadute depressive e quindi candidati ad un trattamento farmacologico o psicoterapeutico “di mantenimento” più prolungato.

Gli autori dello studio sottolineano, in conclusione, che questi dati, ancorché suscettibili di ulteriori approfondimenti, suggeriscono la possibilità che anche la patologia depressiva possa un giorno venire diagnosticata in modo preciso e misurabile, come già da molto tempo è possibile fare con gli apparecchi che rilevano la pressione arteriosa o il livello di colesterolo nel sangue, riconsegnando la malattia depressiva ad una dimensione meno aleatoria e incerta nei suoi confini classificativi.

Translational Psychiatry (2014) 4, e442; Published online 16 September 2014

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Autore dell’articolo

Dott. Andrea Vannini

Neuropsichiatra. Ha prestato la propria opera professionale per molti anni presso Casa di Cura privata convenzionata operante nel settore neuropsichiatrico, acquisendo particolare competenza nell'Unità di Cura del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Già medico nei Servizi di Salute Mentale dell'Azienda Sanitaria di Firenze. Attualmente impegnato anche nell'area dei Disturbi della Spettro Autistico. Opera come consulente neuropsichiatra presso l'istituto IPSICO di Firenze.

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