“Libero è colui che non deve né subire né dominare per essere qualcuno” (F. Dostoevskij)
Il comportamento assertivo, per essere appreso, richiede tempo ed esercizio, in quanto riguarda una gamma di abilità complesse che coinvolgono la conoscenza di sé, l’ascolto delle proprie emozioni, la voglia e la capacità di mostrare sé stessi ed entrare in relazione con l’altro in modo rispettoso. Per imparare e mettere in pratica certi concetti, quindi, è utile un vero e proprio training di assertività. Ovviamente, non si può realizzare dall’oggi al domani, ma necessita di un periodo di allenamento in cui vengono gradualmente messi in pratica i principi alla base di questa pratica, esercitandosi fino ad interiorizzarli e ad utilizzarli in maniera molto naturale nelle azioni e nella comunicazione di tutti i giorni. Tutto ciò permette di esprimere i propri pensieri in totale tranquillità, stabilendo relazioni interpersonali sincere e positive. Come già spiegato nel precedente articolo sull’assertività, il termine deriva dall’inglese “to assert”, che significa “far valere, affermare”, ma anche “mettere in libertà”, in quest’ultima accezione usato inizialmente per il concetto di liberazione degli schiavi, in seguito dal movimento femminista anni ’60, infine passato all’ambito clinico e psicoterapeutico (Jakubowski e Lange, 1978). Dunque, un soggetto assertivo è colui che usa una modalità di comunicazione, verbale e non verbale, che è una chiara e diretta espressione delle sue necessità, bisogni, preferenze, volontà, desideri e/o intenzioni, tenendo però anche conto dei sentimenti e delle emozioni della persona con cui comunica. Implica una consapevolezza della persona riguardo la propria autosufficienza ed autonomia affettiva, unita a fiducia in sé stesso e nelle proprie capacità. Si tratta, infatti, della giusta via di mezzo, lungo un continuum, tra il comportamento passivo e quello aggressivo. L’inventore del training assertivo può essere considerato Wolpe (1958), il quale afferma che l’assertività consiste nell’espressione di tutti i sentimenti, eccetto l’ansia, mentre il primo ad applicare un training di abilità sociali (social skills) è ritenuto Salter (1949). Può essere effettuato in seduta tra terapeuta e paziente (con dovute modifiche), ma generalmente è svolto in gruppo (Rimm e masters, 1974). Il training di assertività e quello di abilità sociali sono applicati in vari ambiti clinici, soprattutto per il trattamento dell’ansia sociale, della depressione, della schizofrenia, dei problemi di coppia, del disturbo ossessivo-compulsivo, della dipendenza da sostanze, dell’agorafobia, dei disturbi sessuali, del disadattamento sociale nei bambini (Caballo, 1995). Si può annoverare tra le pratiche di maggior successo tipiche della terapia cognitivo-comportamentale, all’interno della quale, come assunto base, si considerano le difficoltà ed i problemi del soggetto non tanto come dei segnali di malattia, ma come mancanza di abilità e quindi apprendibile. Ad esempio, una persona che appare timida, chiusa, che non ha il coraggio di dire quello che pensa, spesso è carente delle abilità necessarie in ambito sociale. Lo psicoterapeuta cognitivo-comportamentale è, in questo senso, come un abilitatore, un “educatore”, un trainer, un esperto che insegna, che modella, che suggerisce, che fa riflettere ed insegna. Il training di assertività, infatti, nasce inizialmente come metodologia per trattare i sintomi di ansia sociale: spesso le persone dicono “sono timido”, “sono ansioso”, credendo che le loro difficoltà dipendano esclusivamente dal loro carattere e dalla loro personalità, mentre in realtà sono influenzate da elementi di apprendimento e di interazione con l’ambiente. Chi ha questo tipo di difficoltà non ha sviluppato un variegato repertorio di abilità e risposte adattive, evita le situazioni temute, ha un basso livello di competenza e varie distorsioni cognitive nelle diverse situazioni sociali (es. “Se dico quello che penso, ho paura che gli altri mi possano giudicare male e mettere da parte”; “Se rispondo di no, gli altri potrebbero pensare che sono un egoista”). Lo scopo di apprendere lo stile assertivo attraverso il training di assertività non è tanto quello di farsi valere (di diventare dei “duri”), ma piuttosto quello di stare bene con gli altri, sentendosi liberi di manifestare ed esprimere ciò che si pensa e si prova, tenendo però conto dei medesimi diritti altrui. Nell’applicazione clinica, quindi, si traduce in una situazione strutturata, come già accennato individuale o di gruppo, che ha come obiettivo lo sviluppo sistematico, in soggetti con difficoltà sociali e di relazione, di un’abilità detta “assertività”, intesa come un insieme di competenze sociali e di comunicazione, tra cui la capacità di produrre risposte in grado di inibire gli stati d’ansia e garantire adattamento sociale. Il possesso di tali abilità dovrà essere tale da consentire all’individuo di riconoscere e manifestare i propri bisogni (sociali, emotivi, biologici, ecc.) secondo il principio per cui ogni persona, in un rapporto interpersonale, ha gli stessi fondamentali diritti umani di un’altra persona indipendentemente da ruoli, funzioni o quant’altro. Il fine ultimo del training di assertività è la modificazione del comportamento da anassertivo (passivo o aggressivo) in assertivo attraverso vari passaggi, quali:
- la correzione dei comportamenti che perpetuano la condotta passiva/aggressiva;
- la sensibilizzazione dei canali percettivi e l’educazione alla comunicazione;
- il potenziamento delle facoltà di selezione ed identificazione precisa degli stimoli;
- il controllo dell’ansia con il rilassamento.
- l’apprendimento di nuove risposte.