Il termine “femminicidio” indica qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne con lo scopo di subordinare e di distruggere l’identità della donna attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla morte.
Il femminicidio rappresenta una forma di violenza contro le donne che può assumere molteplici forme. Per poter parlare di femminicidio, è necessario dimostrare il nesso di causalità tra il crimine perpetrato e il genere femminile della vittima, insieme con l’intenzionalità a compiere il reato.
Secondo il rapporto Eures-Ansa (2012), nel periodo 2000 – 2011 sono stati riportati più di 2000 casi di femminicidio, con il picco massimo nel 2011, dove il 30% degli omicidi commessi riguardava una donna. È stato osservato che quasi la metà dei femminicidi sono compiuti dall’ex partner e nella maggior parte dei casi il reato si verifica nell’ambiente domestico (82% dei casi).
In particolare, solitamente il reato si verifica nei tre mesi successivi alla decisione – da parte della vittima – di interrompere la relazione, altre motivazioni a compiere il femminicidio sono incomprensioni familiari o difficoltà economiche. Gli aggressori sono in genere di sesso maschile, di età compresa tra 25 e 49 anni, e molto spesso sono persone conosciute dalle vittime.
Sono stati identificati numerosi fattori di rischio per coloro che commettono il reato, quali il possesso di un’arma da fuoco, una situazione economica precaria, la disoccupazione, l’isolamento sociale, l’abuso di sostanze o di alcol, la presenza di un disturbo antisociale o borderline di personalità.
Inoltre, da un punto di vista psicologico, è stato evidenziato che lo stile di attaccamento – cioè l’insieme di comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone – rappresenta un elemento essenziale per comprendere gli episodi di femminicidio e il livello di aggressività e violenza presenti nel nucleo familiare.
In particolare, nelle famiglie in cui emerge uno stile di attaccamento del tipo “sicuro/sicuro”, cioè dove ciascun membro della coppia mostra fiducia in sé stesso e nella relazione, è quello associato a minor livello di aggressività interna. Invece, il rischio di violenza, sia fisica che psicologica, è maggiore nel caso dello stile di attaccamento “insicuro/insicuro”.
Inoltre, i partner di sesso maschile con stile di attaccamento insicuro, quando si sentono minacciati dal pericolo di perdere la figura d’attaccamento, tendono a sviluppare comportamenti violenti crescenti.
Sono stati identificati anche alcuni fattori di rischio per le vittime di reato di femminicidio come, ad esempio, la presenza di una storia di comportamenti violenti da parte del partner, separazione da un partner da cui sono state subìte violenze, aver subìto una violenza sessuale, aver subìto abusi fisici e psicologici durante la gravidanza, stalking.
Le violenze perpetrate nei confronti delle donne – fino al femminicidio – rappresentano un fenomeno dilagante nella società attuale, e appare quindi necessario promuovere campagne informative e di sensibilizzazione su questi temi e su come identificare precocemente segnali di allarme e di pericolo imminente.
Nel 2013, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato delle linee-guida sull’assistenza da fornire alle donne vittime di violenza. In particolare, secondo l’OMS è necessario fornire informazioni sulle possibili conseguenze che le violenze e gli abusi possono avere sulla salute fisica e mentale delle donne, come ad esempio comparsa di disturbi del sonno, disturbi ansioso-depressivi, disturbi legati allo stress, abuso di alcol e/o di sostanze.
Pertanto, è necessario promuovere un servizio di supporto che non sia troppo invadente per la donna, ma che sia in grado di fornire informazioni non solo sugli aspetti sanitari ma anche legali, garantendo la massima discrezione e confidenzialità delle informazioni fornite; inoltre, può essere utile offrire un trattamento integrato farmacologico e psicologico nei casi più seri.