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Intolleranze alimentari e disturbi dell’alimentazione

Intolleranze alimentari

La prevalenza delle allergie alimentari nei bambini, negli adolescenti e nelle giovani donne sembra essere sempre più elevata (Tang&Mullins, 2017).

Il numero delle persone che si definiscono “allergiche” a certi cibi è sovrastimato sia per l’uso inappropriato del termine “allergico”, sia perché si tende a spiegare sintomi o patologie molto varie tra loro, con l’allergia o intolleranza a determinati alimenti.

Questo ha contribuito a creare la comune convinzione che un’intolleranza alimentare può spiegare disturbi e sintomi estremamente diversi (dalla semplice emicrania, sindrome dell’intestino irritabile ad artriti siero-negative) che ancora non hanno un’eziologia confermata dalla presenza di specifici biomarcatori.

Lo stesso Ministero della Salute, ha pubblicato un documento (“Allergie alimentari e sicurezza del consumatore – Documento di indirizzo e stato dell’arte Italia 2018”), dove sono raccolti una serie di test che valutano presunte intolleranze alimentari, ma che non hanno alcuna validità scientifica.

Seguire in maniera rigida inutili restrizioni dietetiche può avere conseguenze fisiche preoccupanti e a volte dannose. Soprattutto in soggetti di età pediatrica possono esserci conseguenze problematiche anche da un punto di vista psicologico.

In uno studio condotto da Dalle Grave et al. (2008), infatti, sono stati descritti casi di anoressia nervosa sviluppatisi in individui che hanno seguito le indicazioni dietetiche di un test d’intolleranza alimentare.

Una via d’ingresso verso i disturbi alimentari?

Oggi sappiamo che nell’apparato digerente sono presenti numerose cellule nervose che “dialogano” coi neuroni cerebrali e sembrano addirittura capaci di influenzarsi vicendevolmente (Michael Gershon, 2020) attraverso il nervo vago.

Alcuni sintomi gastrointestinali tra cui la dispepsia (in assenza di danni organici), sono spesso causati da fattori stressanti e non dall’intolleranza di alcuni alimenti.

Giovani donne o adolescenti normopeso che lamentano sintomi gastrointestinali la cui spiegazione viene data a intolleranze alimentari, possono però iniziare diete che prevedono l’eliminazione di numerosi alimenti. Tale restrizione ha come obiettivo quello di ridurre la sintomatologia dispeptica, ma può in alcuni soggetti, aumentare il rischio di sviluppare un disturbo alimentare.

Seguire una dieta rigida, infatti, può facilitare lo spostamento del controllo da aspetti generali della vita verso un controllo predominante sull’alimentazione: controllo l’alimentazione per riacquisire controllo che ho perso o non riesco a trovare in altri ambiti della vita.

Dalla dieta al vero e proprio disturbo alimentare

Si inizia così a investire in maniera eccessiva sulla valutazione del controllo dell’alimentazione, che porta a irrigidire ancora di più regole alimentari e dieta. Ciò causa un basso peso a cui sono collegati sintomi da malnutrizione tra cui il senso di pienezza precoce legato al rallentamento dello svuotamento gastrico.

L’attenzione selettiva alle sensazioni addominali porta ad aumentare il controllo dell’alimentazione (che inizialmente aveva portato un beneficio alla sintomatologia gastrointestinale). Però stavolta esacerba i sintomi da malnutrizione, intrappolando così la persona in un vero e proprio disturbo alimentare.

Inoltre, poiché la riduzione dell’assunzione calorica e di alimenti (come carboidrati o latticini) determina spesso, nel breve tempo, una riduzione della sintomatologia gastrointestinale, favorisce la formazione di regole dietetiche cognitive estreme e rigide.

Mantenere un’aderenza costante a tali regole dietetiche è difficile e nel lungo periodo, impossibile. L’incapacità di mantenere il controllo sulle regole imposte, può essere interpretata da alcune persone come evidente mancanza di autocontrollo. Ciò porta all’abbandono temporaneo del controllo dell’alimentazione, causando delle vere e proprie abbuffate.

A queste seguono intensificazioni di preoccupazioni per peso e forma del corpo che incoraggiano ulteriori restrizioni dietetiche. Di nuovo ci troviamo così intrappolati in un complesso meccanismo: un disturbo alimentare.

Qual è l’atteggiamento corretto nei confronti delle intolleranze o allergie alimentari?

E’ importante rivolgersi sempre ad allergologi esperti che possano verificare la reale presenza di intolleranze alimentari e consigliare esami medici di validità scientifica certa.

Se siamo di fronte ad un disturbo alimentare conclamato e un’intolleranza alimentare, come muoversi?

Anche in questo caso, è opportuna una valutazione medica di un allergologo che possa confermare la reale presenza di un’intolleranza.

Se tale patologia non viene confermata, come nella maggior parte dei casi succede, è importante aiutare la persona affetta da un disturbo alimentare, ad intraprendere un percorso psicologico evidence-based come la CBT-E (Dalle Grave, Calugi & Sartirana, 2018).

Questo trattamento, aiuterà la persona ad affrontare le eccessive preoccupazioni verso alcuni cibi. Crea inoltre un sistema di autovalutazione più ampio e non basato in modo predominante sul controllo dell’alimentazione, del peso e delle forme del corpo.

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Elena Lazzeri

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Ha conseguito il master in terapia e prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità ed è socio ordinario dell’Associazione Italiana Disturbi dell’alimentazione e del peso (AIDAP). Opera come psicoterapeuta presso l’Istituto Ipsico e presso i suoi studi professionali di Poggibonsi e Colle di Val d’Elsa, occupandosi principalmente di disturbi dell’alimentazione e disturbi del sonno. Profilo linkedin

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