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Quando le emozioni positive diventano tossiche: la toxic positivity

Quando la positività a tutti i costi fa male

Cos’è il pensiero positivo

Louise Hay, madre del pensiero positivo, definisce questa corrente di pensiero come un metodo volto a raggiungere il benessere psicofisico attraverso un costante allenamento della mente alla positività.

L’obiettivo del pensiero positivo è dunque quello di sostituire gli schemi di pensiero negativi con altri pensieri, più positivi ed ottimistici.

Il metodo consiste nella ripetizione di frasi ed affermazioni relative a eventi o caratteristiche che l’individuo desidera. Tali frasi avrebbero lo scopo di “ri-programmare” la mente verso una dimensione più ottimistica.

Differenza con la psicologia positiva

Il pensiero positivo trae le proprie origini da una cultura new age e non è da confondere con la corrente della psicologia positiva. Quest’ultima, infatti, rappresenta una branca teorica ed applicativa della psicologia che si occupa del benessere e della qualità di vita dell’individuo.

Agisce attraverso l’analisi e l’eventuale modifica degli indicatori psicologici, sociali e fisici che possono contribuire alla percezione di benessere soggettivo.

A differenza della psicologia positiva, inoltre, la dottrina del pensiero positivo non ha mai prodotto studi scientifici che dimostrassero l’impatto benefico di tale metodo.

Nonostante la mancanza di dati scientifici che confermino l’utilità del pensiero positivo, questa dottrina ha preso molto piede negli ultimi decenni. I social network hanno indubbiamente concorso a questa avanzata.

L’evoluzione culturale e sociale che ci vede sempre più connessi al mondo attraverso le piattaforme di condivisione, infatti, propone di frequente un’immagine distorta della vita degli altri. La tendenza a condividere ed a tratti ostentare immagini e contenuti volti a mostrare una vita irrealisticamente felice, tagliando fuori la sofferenza ed il disagio, contribuisce a creare un modello di riferimento che, nella vita reale, è semplicemente irraggiungibile.

A tal proposito, la psicologa Susan David parla di una progressiva “doverizzazione morale” verso l’essere ed il mostrarsi positivi e felici.

Gli aspetti negativi di una “positività eccessiva”

Da una parte è sicuramente vero che pensare in termini ottimistici può aiutare gli individui a sentirsi meglio e vivere più serenamente. Dall’altra, però, vi sono evidenze secondo cui la rigida adesione ad una dottrina della positività può in realtà avere dei risvolti inaspettati sul benessere dell’individuo.

A questo proposito, Lukin (2019) parla di Toxic Positivity, ossia di una tendenza sociale, sempre più pressante, a considerare il pensiero positivo come l’unico modo corretto e sano di vivere la vita.

La positività tossica porta l’individuo a riconoscere e validare unicamente le emozioni ed i pensieri positivi. Gli stati d’animo negativi e della sofferenza tendono invece ad essere rifiutati ed invalidati.

Come dimostrano numerose evidenze scientifiche, tuttavia, l’evitamento e la soppressione attiva di determinati stimoli interni o esterni, in realtà, non fa altro che aumentare la salienza degli stimoli stessi.

Per sperimentare questo fenomeno, è sufficiente che il lettore provi, per i prossimi trenta secondi, a seguire questa semplice istruzione: “Evita di guardare tutte le cose nere intorno a te”.

Che cosa notiamo? Esatto… la mente, e di conseguenza lo sguardo, automaticamente selezionano gli oggetti scuri nell’ambiente, con l’obiettivo, paradossale, di non prestarvi attenzione.

L’evitamento delle emozioni e dei pensieri negativi

Lo stesso fenomeno avviene quando l’evitamento o la soppressione riguardano contenuti interni come pensieri, immagini mentali o emozioni.

Quante volte, in un momento di tensione ed ansia ci è stato detto da qualcuno “Dai, Non ci pensare, rilassati!”? Sicuramente molte. Quante volte questa istruzione ci ha effettivamente permesso di abbassare la tensione? Probabilmente nessuna. Quante volte, invece, questa frase ha aumentato il nostro livello d’ansia? Probabilmente spesso.

Questo avviene poiché, nel momento in cui ci viene data questo tipo di istruzione paradossale, il nostro cervello seleziona automaticamente l’informazione o lo stimolo in questione, con l’obiettivo di evitarlo. Facendo ciò, tuttavia, lo stimolo da evitare finisce per diventare ancora più saliente.

Cosa succede, dunque, nel momento in cui proviamo a sforzarci di controllare le nostre emozioni ed i nostri pensieri? Paradossalmente, proprio quegli stati interni che tentiamo di controllare finiscono per ottenere maggiore salienza attentiva. Sulle lunghe distanze, dunque, imporsi di non provare emozioni negative rischia di aumentare proprio la tristezza o la preoccupazione che tentiamo di evitare.

Le credenze sul controllo dei pensieri e delle emozioni

Esiste poi un ulteriore aspetto negativo legato ai principi del pensiero positivo: la convinzione irrazionale che sia possibile esercitare un controllo attivo sulle nostre emozioni e sui nostri pensieri. Questa porta l’individuo ad assumere una prospettiva auto-colpevolizzante.

Nel momento in cui, come è naturale che sia, la persona fallisce nell’intento di controllare, si crea infatti una spirale pericolosa. Partendo da uno stato emotivo spiacevole ma fisiologico, l’individuo, convinto che sia giusto e possibile controllare tale stato, utilizza delle strategie che in realtà aumentano la salienza dell’emozione negativa.

Poco dopo, rendendosi conto di non riuscire a modificare il proprio stato interno, aggiunge un’ulteriore quota di senso di colpa ed inadeguatezza.

Razionalità ed accettazione come compromesso per il benessere

Se da una parte un atteggiamento eccessivamente pessimistico non è utile e, dall’altra, come abbiamo visto, non lo è neppure una posizione ciecamente ottimistica. Allora qual è il metodo migliore per affrontare i problemi della vita?

Come in molte cose, forse la risposta risiede nella giusta via di mezzo.  Ed è proprio in quest’ottica di compromesso che entrano in gioco due principi fondamentali: la razionalità e l’accettazione.

Facendo riferimento ai principi di base della terapia cognitivo comportamentale, possiamo intendere la razionalità come la capacità di vedere e, conseguentemente, affrontare i problemi in modo realistico.

Pensare razionalmente ad un problema, infatti, permette di non catastrofizzarlo senza però per questo cadere nella sua svalutazione o, addirittura, nella negazione della sua esistenza.

È inoltre importante ricordare che è nel naturale stato delle cose che le nostre esperienze di vita generino in noi delle reazioni emotive e che queste, a volte, possano anche essere dolorose.

Come abbiamo avuto modo di vedere, il tentativo di controllare le emozioni non solo nella maggior parte dei casi non è utile ma, spesso, si rivela addirittura dannoso.

Le emozioni fanno parte di questo mondo e, da un punto di vista evoluzionistico, assumono un ruolo fondamentale nel guidare le nostre azioni e garantirci la sopravvivenza. Esse, infatti, permettono di regolare il nostro comportamento orientandolo alla messa in atto delle risposte più appropriate alla soluzione dei problemi.

Riconoscere ed accettare le emozioni, anziché evitarle o sopprimerle, è dunque la strategia migliore per orientare il nostro organismo verso il benessere e la percezione di auto-efficacia.

Bibliografia

  • Hay, L. L. (2009). You can heal your life. ReadHowYouWant. com.
  • Lukin, K. (2019). Toxic positivity: Don’t always look on the bright side. Psychol. Today.

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Marta Joanna Drabik

Psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Svolge l’attività libero professionale presso gli studi privati di Pistoia, Lucca e Montecatini Terme. Si occupa di sostegno psicologico e psicoterapia cognitivo-comportamentale dei Disturbi d’ansia, della Depressione, dei problemi relazionali e personologici ed è abilitata all’utilizzo della tecnica EMDR. E’ inoltre specializzata nel trattamento cognitivo-comportamentale del Disturbo ossessivo-compulsivo e fa parte dei professionisti affiliati alla rete CEDOC (Centro d’Eccellenza per il trattamento del Disturbo ossessivo-compulsivo). Partecipa attivamente a diversi progetti di ricerca mantenendosi costantemente aggiornata circa le più recenti evidenze scientifiche e i percorsi terapeutici cognitivo-comportamentali più efficaci.

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