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Mentire in terapia: quando il paziente non dice la verità

La menzogna in psicoterapia

Non tutte le bugie sono uguali e non sempre la verità è necessaria.

Quando un bambino mente e non viene scoperto cosa sta sperimentando? Una cosa molto importante per un buon sviluppo psichico: che la sfera mentale appartiene a sé ed è inviolabile.

Nessuno può realmente leggere ciò che pensiamo. Una volta adulto sarà una regola che avrà interiorizzato bene, a meno che non abbia sviluppato una grave psicopatologia.

Si sa che la sincerità alcune volte è una virtù altre volte, pur continuando a considerarla tale, la riteniamo inopportuna al contesto specifico.

Non sempre diciamo il vero, ne siamo tutti consapevoli e non ce ne facciamo un cruccio, accettando il dubbio come elemento costitutivo del gioco sociale.

Chi dice sempre la verità non ha evidentemente altro da dire, citava un aforisma.

Non vi sono contesti in cui possiamo dire tutto ciò che riguarda la propria vita. Qualcosa dovrà essere omesso per questioni di tempo, perché ritenuto di poca  importanza, per evitare offese gratuite, per non danneggiarci.

Per quanto dettagliato voglia essere nel mio racconto dovrò sempre e comunque tagliare delle parti.

Nelle relazioni terapeutiche i patti sono altri

Il curante è tenuto a non parlare di sé e a poter fare domande specifiche sulla vita dell’interlocutore; d’altro canto chi chiede aiuto si impegna ad essere il più sincero possibile.

In una relazione di aiuto vige il tacito accordo che quanto più non mento,  tanto più aiuterò l’altro a curarmi nel migliore dei modi.

Con questa premessa non è semplice comprendere come mai molte persone che cercano aiuto, una volta presenti nel contesto specifico mentono.

Il fenomeno non è neanche così raro. E’ stato visto che circa il 70% dei pazienti mente al proprio medico curante.

Le aree prevalenti riguardano le omissioni: non viene detto di non aver capito le indicazioni; non viene espresso il disaccordo con le raccomandazioni; la sedentarietà e la dieta malsana vengono sostituite, nel racconto, con una regolare attività fisica e una dieta sana; le terapie spesso non sono assunte secondo le indicazioni del medico.

Le motivazioni più comuni date dai pazienti per giustificare la mancanza di sincerità sono diverse e spesso co-presenti:

  • il timore di essere giudicati
  • il non voler sapere quanto possa essere nocivo il proprio comportamento
  • provare imbarazzo
  • la paura di deludere il dottore
  • il senso del  pudore
  • il senso di colpa

A volte prevale semplicemente il desiderio di apparire migliori.

Si mente anche nei contesti psicoterapeutici

Prima di iniziare un percorso psicoterapeutico ognuno ha il desiderio di poter finalmente comunicare tutto ciò che passa per la mente.

Sembra una delle cose più semplici e ovvie eppure chi lavora in questo campo o ha avuto esperienze di psicoterapia sa bene che non è così.

L’onere di tempo, di denaro e di energie investite non sono ragioni sufficienti a cercare di essere il più sinceri possibili, anche se il rischio è quello di allontanarsi dal raggiungimento degli obiettivi richiesti.

I terapeuti esperti si muovono con cautela, non cercano la “confessione” accontentandosi di verità narrative più che di verità storiche.

Molte persone rifiutano di intraprendere un lavoro psicoterapico per eccesso di onestà, consapevoli che non riuscirebbero ad essere sinceri e l’espressione “Non me la sento di dire cose mie ad un estraneo” è la formula che fornisce la spiegazione.

Perché si mente al terapeuta

Molto spesso sono il timore del giudizio e il senso di vergogna a minare la sincerità nella relazione terapeutica.

Non è semplice parlare della propria sessualità, di contenuti mentali considerati insoliti, di condotte non approvate socialmente, del rapporto con sostanze d’abuso, di situazioni che rievocano sensazioni di paura o disgusto non appena si presentano allo stato cosciente.

A volte non è il giudizio o la vergogna a minare la sincerità ma esclusivamente la mancanza di fiducia nell’altro, che può essere un tratto di personalità (ad esempio personalità paranoiche) in cui si vive qualsiasi relazione come minacciosa e potenzialmente dannosa.

La mancanza di integrazione può portare a non dire alcune cose perché risulta deficitaria la capacità di mettere in connessione gli eventi; alcune cose non vengono dette perché  ritenute poco importanti o non legate in qualche modo a ciò di cui stiamo parlando.

Ci sono cose che non vengono dette per non preoccupare lo psicoterapeuta; molti pazienti sono premurosi verso il curante. Si pensi alle ideazioni suicidarie o a storie drammatiche che potrebbero turbare l’ascoltatore.

A volte è il paziente stesso a preoccuparsi del fatto che parlare di alcuni contenuti possa spingere il terapeuta a non seguirli più o, cosa peggiore, a inviarli allo psichiatra.

Si può mentire perché la psicoterapia non viene vissuta come una scelta propria ma imposta: un coniuge che chiede all’altro di farsi curare, un adolescente inviato dai genitori per farlo “maturare”, una misura imposta da un giudice.

In alcune situazioni organiche cerebrali l’atto del mentire prende il nome di confabulazione: senza rendersene conto il paziente, che presenta un disturbo di memoria conseguente al problema cerebrale, riempie i vuoti con narrazioni immaginarie di eventi che non sono mai accaduti.

Vi sono personalità (es nel disturbo istrionico di personalità) in cui le fantasie vengono elaborate dal cervello come se si trattasse di eventi realmente accaduti; si producono narrazioni intenzionali e dimostrative di situazioni mai accadute.

Lo scopo non è quello di ottenere vantaggi materiali o sociali ma di costruire un profilo identitario idealizzato. I clinici la chiamano Pseudologia Fantastica.

In alcuni quadri psicotici a guidare il racconto sono fenomeni deliranti o allucinatori che nulla hanno a che vedere con un piano condiviso di realtà, trattandosi di sintomi generati dal disturbo.

Il terapeuta può migliorare lo stato delle cose

In terapia la sincerità è sempre parziale e condizionata, lo prendiamo come un dato di fatto.

Ciò non toglie che il terapeuta debba cercare di limitare al massimo questa tendenza.

Come lo fa? Cercando intanto di essere diretto nelle domande.

Sembra strano ma molte volte i pazienti non dicono le cose perché il terapeuta non le chiede. Il terapeuta dovrebbe cercare di essere chiaro e accertarsi che il paziente non percepisca un atteggiamento giudicante.

A chi chiede aiuto bisogna dare il tempo di poterci conoscere e apprendere che il rapporto è solido e degno di fiducia.

Ci vuole tempo per creare una buona alleanza terapeutica; più debole risulta essere l’alleanza terapeutica tanto più forte sarà la tendenza a mentire

La sincerità, escludendo i quadri organici, si costruisce nel tempo ed è figlia della reciproca fiducia che si instaura tra i protagonisti della relazione.

Alla fine rimane ciò che ne facciamo del dubbio: “Ci sono dubbi che vanno risolti, altri che non possono essere risolti, altri ancora che è meglio non risolvere” (Roberto Gervaso).

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Contrassegnato con: personalità, psicoterapia cognitivo comportamentale

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Autore dell’articolo

Dott. Michele Conte

Medico Chirurgo, specialista in Psichiatria, psicoterapeuta. Da circa 20 anni psichiatra nel Servizio Sanitario Nazionale; responsable del Centro Diurno del Distretto 8, USL Centro Firenze. Docente di Psicopatologia, Psichiatria e Psicofarmacologia presso la scuola di specializzazione quadriennale istituto IPSICO. Autore di circa 50 pubblicazioni, su riviste nazionali e internazionali, riguardanti aree psicopatologiche, psicofarmacologiche ed epidemiologiche. Profilo linkedin

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