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Colon irritabile e psicoterapia

I disturbi delle funzioni gastrointestinali sono un gruppo di disturbi psicosomatici caratterizzati da un’eziologia sconosciuta, criteri diagnostici poco chiari, periodi prolungati di malattia e scarsa responsività ai farmaci.

Tra i più di 25 disordini della funzionalità intestinale conosciuti, la Sindrome da Colon Irritabile (Irritable Bowel Syndrome-IBS) è il disturbo più diffuso, il più costoso in termini di trattamenti e il più debilitante. Questo disturbo è caratterizzato da cambiamenti nella funzionalità intestinale, dolore e gonfiore addominale e disagio associato senza nessuna anormalità strutturale rilevabile.

La prevalenza risulta alta, in Italia si parla del 18% della popolazione, mentre negli Stati uniti si arriva al 22%, ed il genere più colpito è quello femminile.

Chi soffre di questo disturbo tende, solitamente, a rivolgersi in prima battuta a medici specialisti, sottovalutando la prevalente causa psicologica di questa condizione. È ormai assodato che ci sia una relazione significativa tra i sintomi dell’IBS, i livelli di ansia e le esperienze traumatiche precoci.

Questi sintomi, infatti, sono la manifestazione clinica di una disregolazione del sistema bidirezionale intestino-cervello, che lega le funzioni gastrointestinali ai centri cognitivi ed emotivi del nostro cervello. L’amigdala, la corteccia prefrontale e l’ippocampo mediano le funzioni dell’intestino, così come regolano stati emotivi e comportamenti. Inoltre più della metà dei pazienti affetti da IBS riportano anche altri disturbi come depressione, panico, agorafobia e fobie specifiche.

Questa condizione fisicamente ed emotivamente debilitante porta, infine, ad una riduzione drastica della qualità della vita con importanti complicazioni nella vita professionale, relazionale e personale influenzando le performance e limitando la percezione di piacevolezza nelle attività.

Risulta chiaro quanto possa essere d’aiuto un approccio non solo medico, ma anche psicoterapeutico nell’affrontare questa condizione. Il modello CBT (Cognitive-Behavioral Therapy – Terapia Cognitivo-Comportamentale) affronta l’IBS su diversi piani, sostenendo che i sintomi siano figli dell’interazione di fattori psicologici, fisiologici e sociali.

Il trattamento cognitivo comportamentale prevede varie componenti, come la psicoeducazione sull’IBS, sull’alimentazione e sul ciclo sonno-veglia, l’apprendimento di tecniche di rilassamento, strategie di gestione dell’ansia e l’educazione all’assertività.

Si interviene sui pensieri automatici negativi, che accompagnano i sintomi IBS e che, aumentando la componente ansiosa (“qualcosa di pericoloso sta per accadere”), perpetuano e aggravano la percezione di dolore corporeo e disagio emotivo.  Imparando a riconoscere, inoltre, i meccanismi di attenzione selettiva e agendo su di essi si disinnescano i comportamenti maladattivi e le sensazioni di non padronanza delle proprie reazioni, che aprono la strada all’evitamento.

In aggiunta, qualora se ne riscontri la presenza, un obiettivo di lavoro è anche quello di diminuire la tendenza alla catastrofizzazione, le frequenti doverizzazioni e gli standard elevati personali e sociali che nei pazienti con IBS possono aggravare e mantenere il problema.

Gli studi di ricerca ci mostrano che gli strumenti CBT risultano già efficaci nel trattamento dell’IBS, ma che alcuni approcci rafforzano nel tempo i risultati ottenuti. Molte ricerche hanno esplorato gli effetti, sia nel breve che nel lungo termine, di approcci basati sulla Mindfulness, rilevandone i grandi benefici.

Con le tecniche di Mindfulness si sviluppa un atteggiamento di non reazione ed accettazione delle emozioni e delle sensazioni negative, attenuando automaticamente l’attivazione dei meccanismi cognitivi che abbiamo visto influenzare l’iper reattività intestinale.

Un atteggiamento mindful permette alle emozioni di compiere il loro naturale corso e tornare alla baseline, piuttosto che essere trattenute ed intensificate dal rimuginio. Si riduce inoltre l’attenzione selettiva alle componenti sensoriali del dolore, rendendo la percezione del dolore più sopportabile e riducendone la catastrofizzazine.

L’applicazione della Mindfulness induce un miglioramento nella qualità della vita così come ha effetti sulle strategie di coping, allevia i sintomi depressivi e i livelli di ansia.

In definitiva, quindi, la terapia cognitivo-comportamentale ci aiuta ad affrontare un disagio fisico fronteggiando e gestendo le implicazioni emotive, cognitive e comportamentali che esso porta con sé, aumentando la consapevolezza di tali meccanismi e favorendo l’apprendimento di nuove strategie più funzionali al proprio benessere sia fisico che emotivo.

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Contrassegnato con: psicosomatica, psicosomatici, psicosomatico

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Autore dell’articolo

Dott.ssa Elena Micheli

Psicologa Psicoterapeuta presso l’Istituto IPSICO di Firenze. Terapeuta EMDR II livello, formata in Psicoterapia Sensomotoria, Terapia Metacognitiva e Acceptance and Commitment Therapy. Si occupa primariamente di disturbi di personalità, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, psicotraumatologia e psicodiagnosi. Presso l’Istituto IPSICO di Firenze si occupa anche di progetti di ricerca e divulgazione scientifica ed è socia dell’Associazione EMDR Italia. Profilo linkedin

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