Cosa sono le compulsioni
Da un punto di vista etimologico il termine compulsione, riferito ad un comportamento umano, deriva dal verbo latino compellĕre che significa “spingere con forza”. Oggi l’aggettivo compulsivo, secondo il significato letterale, equivale al termine “costrittivo” o “incontrollabile”.
È proprio questo significato letterale dell’aggettivo che spesso viene utilizzato, nel linguaggio comune ma anche in quello tecnico psicologico, per indicare la tendenza a mettere in atto comportamenti in modo poco regolato o coatto.
Lo stesso vocabolario Treccani recita: compulsivo agg. [der. di compulsione]. – In psichiatria, di impulso, comportamento, atto e similari, che viene eseguito da un soggetto in modo macchinale e infrenabile, come sintomo di una varietà di disturbi del comportamento e neurologici.
Infatti, il termine compulsione, in psicologia e psichiatria, risulta spesso associato a tutte le problematiche di dipendenza e del controllo degli impulsi. In questi quadri psicopatologici, il soggetto è incapace di resistere ad un impulso e cede alla tentazione impellente di mettere in atto comportamenti pericolosi o disfunzionali. L’atto è solitamente preceduto da una sensazione crescente di eccitazione a cui fa seguito gratificazione e/o sollievo.
Prendiamo l’esempio dello shopping compulsivo. In questo disturbo il soggetto, partendo da stati mentali caratterizzati da emozioni sgradevoli (noia, tristezza, vuoto, ecc.), è colto dall’irrefrenabile senso di urgenza rispetto all’acquistare (compulsioni). L’atto vero e proprio dell’acquisto compulsivo è accompagnato invece da emozioni di eccitazione, piacere e gratificazione temporanee. Per un meccanismo comportamentale di rinforzo positivo (dato dalla gratificazione) e negativo (riduzione dei sentimenti sgradevoli precedenti) il comportamento si alimenta ed il problema si auto-mantiene nel tempo generando effetti dannosi anche gravi sul funzionamento personale (problemi economici e sociali, ad esempio) ma anche una profonda sofferenza soggettiva (es., sentimenti di colpa e vergogna con temi di sprezzante auto-critica).
Nel caso dello shopping compulsivo, la compulsione all’acquisto, risulta essere un atto sia impulsivo (la persona non riesce a non cedere alla tentazione) ma anche compulsivo (reiterato e percepito come non controllabile). E questo vale anche per altri disturbi da uso di sostanze o per i disturbo del controllo degli impulsi.
Compulsioni nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Nel campo della psicopatologia, il termine compulsione è inoltre centrale nella fenomenologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). Il DOC è caratterizzato infatti dalla presenza intrusiva e ricorrente di pensieri, dubbi, impulsi e immagini mentali (ossessioni) che generano un intenso disagio, il quale viene poi ridotto o temporaneamente eliminato dal soggetto, tramite azioni con valore rassicuratorio (compulsioni).
Per definizione, le compulsioni nel DOC sono: “Comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta a un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente. I comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre l’ansia o il disagio oppure a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; tuttavia questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi” (tratto da DSM-5; APA, 2013).
Troppo spesso le compulsioni del DOC vengono confuse con altri comportamenti afinalistici e finalistici all’interno di disturbi di vario genere. Basti pensare a certi sintomi comportamentali all’interno sindromi neurologiche o nei disturbi pervasivi dello sviluppo: in questi casi, i manierismi motori stereotipati, i tic o le azioni ritualizzate sono tutti comportamenti privi di uno scopo motivazionale sottostante che invece caratterizza le compulsioni.
Se ciò non bastasse, esistono comportamenti finalistici, ritualizzati e coatti afferenti ad altri disturbi che hanno scopi sottostanti molto diversi dalle compulsioni del DOC. Pensiamo ad esempio ai check ripetuti che i pazienti con disturbi alimentari mettono in atto rispetto al peso e alla forma corporea oppure i controlli rivolti ai comportamenti altrui dei soggetti paranoici o con deliri persecutori. Esistono poi comportamenti di continua ricerca di vicinanza nei disturbi d’ansia da separazione e i già descritti comportamenti di ricerca di piacere tipici delle dipendenze patologiche.
Nel DOC, la compulsione assolve invece ad un fine ben preciso che è quello della riduzione del disagio associato a eventi mentali temuti (ossessioni). In particolare, grazie alla ricerca in campo cognitivo-comportamentale, si è arrivati a comprendere che lo scopo sottostante alle compulsioni può collocarsi all’interno di 3 grandi aree motivazionali:
- Evitare un danno temuto per sé stesso o per gli altri (quello che i colleghi britannici chiamano harm avoidance): rientrano in questa categoria tutte le compulsioni volte a ridurre l’ansia o la paura connesse all’eventualità che, per propria disattenzione o leggerezza, possano accadere eventi terribili, quali, ad esempio, contagi di malattie, incidenti, danni economici, eventi sfortunati di carattere superstizioso.
- Evitare o ridurre emozioni di disgusto (disgust avoidance): rientrano in questa categoria gli atti volti a ridurre o annullare il disagio connesso alla presunta contaminazione con sostanze di scarto (es., feci, urine, sperma, saliva, peli) o con residui organici di persone ritenute disgustanti dal soggetto (es., barboni, tossicodipendenti, prostitute, persone considerate moralmente deplorevoli).
- Evitare o ridurre sensazioni di “non essere a posto” (not just right experience avoidance): rientrano in questa categoria tutte le azioni compulsive che riducono o eliminano la sensazione soggettiva che non sia tutto completamente “giusto” e che qualcosa in sé stessi o nel mondo circostante non è “come dovrebbe essere”.
Da quanto appena detto, capiamo quindi come uno stesso comportamento compulsivo possa avere motivazioni sottostanti completamente diverse. Pensiamo, ad esempio, alle compulsioni di riordino e simmetria. Solo domandandoci – e domandando al paziente! – qual’è il timore sottostante, possiamo comprendere se lo scopo sia quello di annullare un timore superstizioso (“Dottoressa, se i miei documenti non sono tutti impilati uno sull’altro perfettamente potrebbe accadere una disgrazia ai miei cari”) o piuttosto di contenere una paura di smarrimento (“Solo tenendo i miei documenti allineati sono assolutamente sicuro che siano tutti al loro posto. Se gli smarrissi sarebbe un disastro e verrei licenziato sicuramente!”) oppure, infine, di evitare la sgradevole sensazione di non essere a posto (“Mi sento a disagio se i documenti non sono tutti sistemati in quel modo. Non lo sopporto proprio e non riesco a fare niente se non mi sento “a posto”!)
D’altro canto, lo stesso timore ossessivo può essere annullato o ridotto tramite strategie compulsive diverse: un ipotetico paziente con DOC, ad esempio, potrebbe perseguire il fine di riduzione della paura di contagio sia con rituali compulsivi di lavaggio sia con controlli ripetuti che i propri abiti non presentino ipotetiche macchie riconducibili a sangue infetto.
Concludendo, troppo spesso in psichiatria e psicologia, ci troviamo di fronte a inquadramenti diagnostici basati puramente sui sintomi, soprattutto comportamentali. Questo ci potrebbe portare a tralasciare un quesito che invece è fondamentale nella nostra professione. Quale funzione ha quel comportamento?
Da quanto detto infatti, deriva la necessità di comprendere la motivazione specifica sottostante alla compulsione per poter, non solo inquadrare correttamente il problema della persona, ma anche stendere interventi psicoterapici individualizzati e calati sui significati sottostanti al sintomo comportamentale.